Outlook obbligazionario 2020, gli Usa non saranno più il porto sicuro dei capitali globali

A cura di Nick Wall, co-gestore del Merian Strategic Absolute Return Bond Fund di Merian Global Investors

I capitali globali sono confluiti verso gli Stati Uniti in cerca di rifugio fin dall’inizio del 2018. Tuttavia, dopo essere stati il porto sicuro globale per oltre due anni, gli Usa si sono finalmente riallineati con il resto del mondo, con la forza del dollaro che ha danneggiato gli utili, il crollo dei mercati azionari alla fine del 2018 e i tassi più elevati che hanno avuto un effetto negativo sulle parti dell’economia più sensibili ai tassi di interesse.

Vi sono tre condizioni chiave per invertire questa ‘trappola’ di crescita bassa e debito in dollari elevato: 1) una Fed più accomodante, 2) un contesto geopolitico e commerciale in miglioramento e 3) il venir meno delle pressioni verso una riduzione della leva in Cina. Tutte e tre queste condizioni si stanno realizzando, ponendo le basi per un’inversione dei trade che hanno funzionato così bene a partire dalla fine del 2018.

1) L’allentamento della Fed

La Fed ha tagliato i tassi rapidamente e ha interrotto il quantitative tightening, ampliando il proprio bilancio tramite l’acquisto di T-Bill. Ciò rende meno probabile che la consistente emissione di debito statunitense per finanziare il deficit tagli fuori dai mercati altri investimenti e provochi ulteriori incidenti sul mercato Repo. La Fed continuerà ad acquistare T-Bill più a lungo di quanto si aspetta, altrimenti rischia di perdere nuovamente il controllo dei tassi a breve termine. Con il Governo che produce ampi deficit, non crediamo che la Fed sia in grado di controllare contemporaneamente sia le dimensioni del proprio bilancio sia i tassi a breve termine.

Le banche centrali dei mercati emergenti non sono state in grado di rispondere al rallentamento del commercio mentre la Fed stava inasprendo le politiche. Infatti, un allentamento da parte degli istituti centrali emergenti avrebbe provocato deflussi di capitale verso i T-Bill statunitensi con rendimenti al 2,5%, quindi il taglio dei tassi avrebbe provocato in ultima analisi un potenziale inasprimento delle condizioni. Ora, invece, un dollaro più debole e tassi Usa più bassi hanno spianato la strada per un allentamento da parte delle banche centrali emergenti. Ci aspettiamo quindi una ripresa della domanda domestica, uno sviluppo molto significativo se si considera che gli emergenti ora generano il 60% del Pil globale.

2) Le tensioni commerciali hanno superato il punto di massimo

Anche il contesto geopolitico è parecchio migliorato, sebbene si tratti di una pace fragile. Dal lato Usa, il ciclo elettorale sta facilitando una risoluzione. Il Presidente Trump si è vantato della forza dell’economia e dell’azionario, mentre alcuni ‘swing state’ – gli Stati chiave per le elezioni Usa – vendono una grande quantità di prodotti agricoli alla Cina. Con l’economia statunitense che inizia ad essere più vulnerabile a una recessione, vi sono maggiori incentivi a raggiungere un accordo con Pechino.

Dal lato della Cina, invece, la crescita ha rallentato, ma molte delle riforme che dovrebbe adottare sembrano essere allineate agli interessi di lungo periodo del Paese. Con il bilancio delle partite correnti che passa in negativo per via del commercio, la Cina ha bisogno di attirare flussi di capitale, a meno che non sia disposta a svalutare nuovamente – cosa molto improbabile. Queste condizioni hanno contribuito al raggiungimento di un accordo ‘phase one’, che dovrebbe essere firmato all’inizio del 2020, e alla rimozione di alcuni dazi. Sebbene sia improbabile che si raggiunga un accordo comprensivo fino a dopo le elezioni, vi è una ragionevole possibilità che il punto di massimo delle tensioni commerciali sia ormai stato superato.

3) La Cina allenta la presa

Nonostante la mancanza di titoli giornalistici a riguardo, è possibile che Pechino stia iniziando ad allentare le politiche monetarie. Infatti, il tasso sulle operazioni di rifinanziamento marginale è stato tagliato di 5 punti base al 3,25% all’inizio di novembre e ora è legato al tasso al quale la Banca Centrale cinese presta capitale alle altre banche – vale a dire, il tasso di riferimento per l’economia. Non si tratterà di un ciclo di allentamento aggressivo come quelli del 2009 e del 2016, ma potrebbe segnalare uno spostamento verso politiche più accomodanti, dato che la forza del renminbi rende più improbabili i deflussi di capitale.

In conclusione, vi sono le condizioni per un’inversione delle dinamiche di mercato che hanno determinato l’andamento dei prezzi e i flussi di capitale fin dall’elezione di Trump. Il capitale confluito nei bond globali, nell’azionario Usa e nei mercati monetari statunitensi si sposterà altrove alla ricerca di rendimenti più elevati, se il contesto geopolitico migliorerà e la Fed manterrà i tassi su livelli bassi. Con le obbligazioni core molto costose e il mercato che sottopesa il debito locale emergente, saremo pronti a riallocare il rischio a seconda di come si evolverà la situazione.

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