Paesi emergenti 1 – Trump 0

A cura di Elena Moya, M&G Investments

Il presidente statunitense Trump avrà anche fatto piani per costruire un muro sul confine messicano e innalzare barriere al commercio globale, ma l’asset class che una volta veniva considerata la più esposta a queste misure non solo è uscita vittoriosa dal mese di luglio, ma risulta tale anche dalle elezioni USA di novembre 2016. La regione emergente (EM) occupa infatti 9 delle prime 10 posizioni nella classifica delle asset class obbligazionarie con le migliori performance a luglio, dato che i fondamentali in miglioramento e la correzione recente hanno reso particolarmente attraenti alcune valutazioni e richiamato gli investitori verso questi strumenti. I mercati emergenti figurano anche tra le categorie più performanti dalla vittoria elettorale di Trump a novembre del 2016: i titoli di Stato messicani hanno reso il 21% da allora, classificandosi al secondo posto in un gruppo di 100 asset class obbligazionarie monitorate da Panoramic Weekly, subito dopo i titoli garantiti da mutui residenziali non emessi da enti pubblici statunitensi.
Il clima generalmente propenso al rischio visto a luglio è stato confermato negli ultimi cinque giorni di contrattazione fino al 2 agosto, grazie alle condizioni ancora favorevoli: le tensioni commerciali mondiali si sono attenuate dopo l’accordo raggiunto da Stati Uniti ed Eurozona per riportare le tariffe verso lo zero; la crescita economica statunitense nel secondo trimestre ha accelerato al 4,1%, il ritmo più rapido dal 2014, rimanendo però al di sotto delle aspettative in misura sufficiente a mantenere il dollaro USA piatto e tacitare le voci che invocavano una politica monetaria più rigida; sia la Banca centrale europea (BCE) che la Banca del Giappone (BoJ) hanno confermato i programmi di allentamento a sostegno dell’economia, favorendo gli asset di rischio tradizionali; infine, il prezzo del petrolio, bene di importazione cruciale e costoso per molti Paesi emergenti, è arretrato da 70 a 67 dollari al barile. Per contro, i titoli sovrani europei hanno sofferto a causa dell’inflazione salita al 2,1% nell’Eurozona, il livello più alto dal 2012.

Su

HY asiatico:alla riscossa. I titoli high yield asiatici hanno guadagnato l’1,6% nei cinque giorni considerati, abbastanza da cancellare le perdite precedenti e portare il risultato su 12 mesi a un livello di pareggio. L’asset class ha subito un’ampia correzione quest’anno, soprattutto quando le tensioni commerciali tra Cina e Stati Uniti si sono intensificate, facendo temere che gli esportatori cinesi e i loro fornitori delle regioni vicine sarebbero stati colpiti dai nuovi dazi statunitensi sui beni prodotti in Cina. Verso fine luglio, la situazione sembrava aver raggiunto uno stallo, in particolare dopo l’accordo commerciale fra Stati Uniti e UE. I titoli HY asiatici denominati in dollari statunitensi hanno beneficiato anche della nuova serie di misure fiscali adottate in Cina a sostegno delle imprese, nello stesso momento in cui il governo sta cercando di mettere un freno all’avanzata del credito. Inoltre, la correzione recente ha portato le valutazioni a livelli attraenti: gli spread di alcuni titoli cinesi del comparto immobiliare hanno raggiunto anche 800 punti base sui Treasury – un livello ritenuto da molti totalmente slegato dai fondamentali – generando in alcuni casi performance a due cifre a luglio. Secondo la Banca mondiale, la Cina ha già superato gli Stati Uniti come prima economia mondiale, a parità di potere d’acquisto. Per un approfondimento sulla performance e le prospettive delle obbligazioni dell’area emergente, si rimanda a questa discussione con Claudia Calich, gestore di fondi EM.
Obbligazioni indiane: un buon rialzo. I titoli sovrani indiani denominati in valuta locale si sono apprezzati malgrado la decisione della banca centrale di innalzare il tasso di riferimento di 25 punti base al 6,5%. Al ritmo annualizzato del 5%, l’inflazione è più alta del livello obiettivo (4%), ma la banca centrale ha mantenuto l’atteggiamento neutrale, dissipando le ansie degli investitori preoccupati che il secondo rialzo di quest’anno potesse segnare l’inizio di un nuovo ciclo di contrazione. Questa misura ha fatto scendere il rendimento del debito sovrano decennale al 7,7%, che rappresenta il minimo trimestrale, e spinto la rupia a quota 68,4 contro il dollaro USA, il cambio più alto da giugno. Ciò non toglie che alcuni investitori continuino a temere le conseguenze del disavanzo pubblico del Paese, soprattutto in vista delle elezioni generali dell’anno prossimo.

Giù

Super retail USA: scegli i tuoi 501. A luglio il premio al rischio che gli investitori esigono per detenere obbligazioni del settore super retail statunitense anziché Treasury è aumentato, mentre per tutte le altre 16 categorie all’interno dell’asset class si è ridotto. Questo segmento del mercato USA è in fase calante da tre mesi, sotto i colpi di fattori come i canoni di locazione in aumento, la concorrenza online, il calo continuo del traffico nei centri commerciali e la difficoltà di attrarre i millennial incollati al computer o al cellulare. I compratori di tutte le età continuano a preferire la facilità di un clic del mouse all’idea di recarsi fisicamente in un negozio, a prescindere da quanto sia bello; a luglio l’elenco delle performance peggiori nell’area HY include una catena di negozi di alta moda e vari marchi di lingerie da donna. A tenere meglio sono stati invece i produttori di jeans più affermati, come Levi Strauss, le cui obbligazioni sono apparse più rispondenti alle esigenze degli investitori, con un extra rendimento dell’1,5% rispetto ai Treasury a luglio. Per un esame più approfondito della rivoluzione digitale nel settore retail, si rimanda al post di Stephen Wilson-Smith intitolato “Che fine hanno fatto i negozi?”
Yen in panne. Nei cinque giorni in esame, lo yen ha fatto segnare la performance peggiore contro il dollaro USA, fra le valute dei mercati sviluppati, dopo che la banca centrale ha confermato a inizio settimana l’impegno a mantenere la politica ultra-espansiva. Questa mossa ha smentito le voci secondo cui l’istituto era intenzionato a rimuovere l’attuale tetto ai rendimenti decennali, misura che avrebbe probabilmente fatto inclinare la curva dei rendimenti dando sostegno ai profitti delle banche e, di conseguenza, migliorando il flusso di credito nell’economia. Invece non è accaduto nulla di tutto ciò: l’inflazione rimane sottotono, tanto che la Banca del Giappone ha tagliato le previsioni al riguardo per l’anno in corso e anche per il 2019 e il 2020. Gli investitori dovranno attendere ancora un po’ per vedere dei cambiamenti.

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