Petrolio e guerra dei prezzi, gli impatti sul mercato dell’energia e sulla Russia

A cura di Jacob Grapengiesser, Partner & Deputy Cio di East Capital

Lunedì 9 marzo il prezzo del Brent è calato del 30%, in quello che è di fatto la più grande flessione giornaliera dalla guerra del Golfo. Ieri il Brent era scambiato intorno ai 37 dollari al barile. Di seguito gli impatti sui mercati dell’energia e sulla Russia.

Impatto sui mercati dell’energia

Il mancato accordo tra i membri dell’Opec+ e l’annuncio da parte dell’Arabia Saudita di una vendita di 12,3 milioni di barili al giorno in aprile, un aumento di 2,5 milioni rispetto al mese di febbraio, porterà a un surplus che si tradurrà molto probabilmente in almeno qualche mese di prezzi molto deboli, intorno ai 30-40 dollari al barile.

I principali fattori che potrebbero far tornare il petrolio al di sopra di questi livelli sono tre.

1. Un accordo tra Russia e Arabia Saudita per un taglio della produzione, che avrebbe un immediato effetto positivo. Riteniamo tuttavia piuttosto improbabile (<50%) uno sviluppo di questo tipo dato che la Russia non ama essere messa alle strette e può sopportare con relativa tranquillità alcuni mesi di prezzi così bassi.
2. Una “ripresa a V” per l’economia globale dal coronavirus guidata da stimoli globali. Questo potrebbe verificarsi, e chiaramente c’è molta domanda repressa. Tuttavia, rimaniamo cauti visto il drammatico aumento dei casi al di fuori della Cina e riteniamo che i tempi e l’entità di tale ripresa non siano ancora chiari per il momento.
3. Un crollo della produzione di scisto negli Stati Uniti. Questo è l’argomento più discusso dai media, anche se probabilmente ci vorranno alcuni mesi prima che questo sia visibile nei dati, a causa dell’hedging del prezzo del petrolio tra i produttori di scisto e dal lead-time di circa 3 mesi. Vale la pena di notare che, a causa dell’enorme crescita della produzione, se non si effettuasse alcuna trivellazione nel 2020, la produzione petrolifera statunitense diminuirebbe di 4-4,5 milioni di barili al giorno entro la fine dell’anno, con il mercato che si troverebbe quindi a fronteggiare un deficit significativo. Un ulteriore aspetto positivo del crollo del prezzo del petrolio di scisto sarebbe la minore produzione di gas associato e quindi l’aumento dei prezzi del gas, anch’essi sotto pressione negli ultimi tempi, con i prezzi spot del Gnl (Gas naturale liquefatto) che sfiorano i minimi record di 3 dollari per mmbtu.

Nel medio-lungo termine questi sviluppi sono positivi per i mercati dell’energia, in quanto probabilmente infliggeranno un colpo permanente all’industria dell’olio di scisto Usa e si tradurranno in una ulteriore riduzione della spesa in conto capitale per il petrolio a livello mondiale. Questo avviene in un momento in cui comunque i colossi del petrolio stanno riducendo in modo significativo gli investimenti a causa della pressione degli investitori Esg e delle preoccupazioni rispetto alla domanda. Pertanto, ci aspettiamo mercati petroliferi molto più sani dal 2021, e il nostro scenario di base è che vedremo prezzi del petrolio pari a 50 dollari al barile entro il 2021 e probabilmente più alti negli anni successivi. Riteniamo che questo sarebbe infatti il livello necessario per garantire a livello globale una produzione sufficiente a soddisfare la domanda, che continuerà a crescere almeno per i prossimi cinque anni

Impatto sulla Russia

L’attuale prezzo del petrolio – 37 dollari al barile – è assolutamente gestibile per la Russia. Il 9 marzo il Ministero delle Finanze ha dichiarato che le riserve sono sufficienti a coprire il deficit di bilancio delle entrate legate a petrolio e gas per 6-10 anni a fronte di un prezzo del petrolio compreso tra i 25 e i 30 dollari al barile, con riserve liquide attualmente al 9,2% del Pil. Inoltre, c’è il potenziale per una significativa ripresa del prezzo del petrolio nel 2021, poiché questi tagli porteranno a un mercato petrolifero notevolmente più sano a medio termine.

Dalla chiusura di venerdì, le azioni russe hanno registrato una flessione di circa il 10% in dollari. Il rublo si è indebolito di quasi il 5% rispetto al dollaro, arrivando a un cambio di 72 a 1. Per contestualizzare tali movimenti, è importante guardare prima di tutto all’economia nel suo complesso.

Dall’ultima correzione del prezzo del petrolio e del rublo nel 2014, l’economia russa è diventata notevolmente più resiliente. Alla base di tutto ciò troviamo una robusta “regola di bilancio”, secondo cui il bilancio è stato progettato per raggiungere il pareggio a un prezzo del petrolio pari a 40 dollari al barile (che aumenta del 2% ogni anno dal 2017), e qualsiasi tassazione del petrolio e del gas al di sopra di questo prezzo viene accantonata nel National Welfare Fund invece di essere spesa. Questa regola è stata leggermente allentata a causa di vari stimoli fiscali, anche se il bilancio russo sarebbe ancora in pareggio a circa 50 dollari al barile e addirittura ad un prezzo più basso considerato il rublo così debole. Ad esempio, con un prezzo di 35 dollari al barile e un cambio rublo/dollaro a 72/1, il deficit di bilancio per il 2020 sarebbe pari solo all’1,8% del Pil. Questo è in netto contrasto con l’Arabia Saudita, il cui pareggio di bilancio è raggiunto con prezzi superiori a 80 dollari al barile, e che soprattutto non ha una valuta in grado di fornire un tale cuscinetto, tanto allo Stato quanto alle compagnie petrolifere.

La regola del bilancio è anche tale che se il prezzo del petrolio è inferiore al prezzo di bilancio (42,4 dollari al barile per il 2020) il governo utilizzerà i fondi di valuta estera dal Reserve Fund per acquistare rubli. Il 10 marzo il ministero delle Finanze ha confermato che agirà in tale senso, e questo intervento ha contribuito a sostenere il rublo e continuerà a farlo.

Infine, vale anche la pena sottolineare che la Russia ha una delle situazioni debitorie più positive tra i principali Paesi, con un debito pubblico inferiore al 16% del Pil nel 2019 e ottimi livelli di riserva.

Nel breve termine l’andamento del prezzo del petrolio avrà un impatto particolarmente significativo sulla liquidità del mercato, dato che gli investitori si affretteranno a “vendere la Russia” a qualsiasi prezzo. Per gli investitori attivi come noi, questo offre alcune interessanti opportunità, come abbiamo visto dopo l’ultimo sell-off del 2014, e stiamo già aggiungendo alcuni nomi che sembrano essere stati venduti in modo troppo aggressivo nonostante i fondamentali forti.

Un fattore diverso rispetto al 2014 è la forte presenza degli investitori retail russi, con tassi di deposito in forte calo e rendimenti obbligazionari che spingono gli investitori verso le azioni. Abbiamo appreso dai broker locali che i grandi afflussi retail che abbiamo visto negli ultimi mesi sono continuati senza sosta nonostante il sell-off legato al coronavirus, il che ha fatto sì che il mercato russo abbia superato il Brasile e gli altri paesi con una forte presenza di materie prime. Ci aspettiamo che questo continui a fornire supporto, dato che i russi hanno familiarità con le forti performance che possono verificarsi dopo grandi correzioni.

Infatti, dopo l’ultimo sell-off del dicembre 2014, la Russia ha superato in modo significativo i mercati emergenti in 4 degli ultimi 5 anni. Nonostante questa sovraperformance, nel gennaio 2020 la Russia stava ancora negoziando con un dividend yield superiore al 7% e, se si tiene conto della correzione del mercato petrolifero e azionario che abbiamo visto fino al 9 marzo, siamo ancora intorno a livelli del 6-7%. Pertanto, per gli investitori disposti ad accettare un po’ di volatilità, riteniamo che la Russia rimanga ragionevolmente attraente in un mondo in cui i Treasury Usa a 10 anni sono ora scambiati intorno a un rendimento dello 0,7%, cosa del tutto inconcepibile anche solo un mese fa.

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