Petrolio, quanto pesa la guerra commerciale sul settore energetico?

Di Pierre Melki, Equity Analyst Advisory & Research di Ubp

I prezzi del petrolio WTI sono scesi di quasi il 10% dall’inizio di luglio. All’inizio di agosto, i prezzi del petrolio hanno iniziato la loro più lunga serie settimanale di cali in tre anni. Le tensioni commerciali tra Stati Uniti e Cina hanno alimentato il timore che la crescita economica mondiale possa rallentare, indebolendo la domanda mondiale di energia.

Due importanti eventi geopolitici hanno influenzato la volatilità dei prezzi del petrolio: il presidente Donald Trump sta mantenendo l’impegno di isolare l’Iran dal resto del mondo con sanzioni economiche, schiacciando il mercato energetico del paese. Come risultato di queste sanzioni, si prevede che le esportazioni di petrolio iraniano scendano tra i 700.000 e un milione di barili al giorno, un intervallo coerente con le sanzioni del 2011, quando le esportazioni iraniane diminuirono a 900.000 barili al giorno. Oggi, tre mesi prima della scadenza di novembre, quando le sanzioni entreranno in vigore, il flusso in uscita dall’Iran è già sceso di circa 430.000 barili e il paese deve fare maggiore affidamento sulla propria flotta di petroliere per trasportare petrolio ai propri clienti, fatto che mostra chiaramente una certa esitazione da parte degli acquirenti a continuare ad acquistare petrolio iraniano.

La guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina, le due maggiori economie mondiali, sta cominciando a pesare notevolmente sul settore energetico. I principali produttori cinesi hanno ricevuto istruzioni da Xi Jinping di aumentare la produzione interna di petrolio al fine di salvaguardare la sicurezza energetica del paese. La Cina applicherà dazi del 25% sul gasolio, sulla benzina e su altri prodotti petroliferi americani, ma il greggio statunitense è escluso dall’ultimo elenco di sanzioni. Nel mese di giugno, la Cina è stato il più grande acquirente estero di greggio americano, con l’importazione record di 15 milioni di barili nel corso del mese.

Quest’anno la domanda di petrolio dovrebbe rimanere solida, sostenuta dalla crescita globale del PIL e proveniente principalmente da Cina e India, con le importazioni cinesi di greggio statunitense più che raddoppiate dall’inizio del 2017. Le stime sono stabili a 1,5 milioni di barili al giorno di crescita media, in linea con la crescita media della domanda su 3 anni.

Sul fronte dell’offerta, la decisione dell’OPEC di incrementare nuovamente la produzione per compensare le perdite di produzione provenienti da Iran e Venezuela, sta già avendo effetto, con l’aggiunta di oltre 300.000 barili nell’ultimo mese da parte dei produttori del gruppo. Negli Stati Uniti le scorte di greggio a livello nazionale sono diminuite di oltre 10 milioni di barili mentre la produzione si è mantenuta stabile intorno ai 10,5 milioni di barili al giorno. L’Energy Information Administration ha rivisto al ribasso le sue previsioni di produzione interna di petrolio a una media di 11,7 milioni per il prossimo anno, ma ha ribadito che gli Stati Uniti sono destinati a diventare il primo produttore mondiale di petrolio nel 2019, raggiungendo i 12 milioni di barili di produzione prima del 2020. È interessante notare che il numero delle piattaforme petrolifere statunitensi, un indicatore della produzione petrolifera futura, è rimasto stabile negli ultimi due mesi.

Nonostante la recente correzione, il prezzo delle materie prime rimane ben al di sopra dei livelli medi di breakeven delle società petrolifere integrate. La ripresa dei prezzi del petrolio ha consentito alle grandi società energetiche di ottenere risultati positivi nel secondo trimestre, con profitti molto più elevati ma flussi di cassa inferiori alle previsioni. A prezzi correnti, tali società dovrebbero continuare a registrare risultati positivi nei prossimi due trimestri.

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