“Prematuro parlare di inflazione”. L’outlook di Mirabaud

A cura di John Plassard, Investment Specialist del Gruppo Mirabaud

Sono sempre di più gli analisti che ritengono che si stiano creando le condizioni per un ritorno efficace e duraturo dell’inflazione, dopo uno shock disinflazionistico legato alla crisi economica e sanitaria ancora in corso. Nel breve termine alcuni fattori potrebbero spingere l’inflazione, ma per quanto riguarda il medio periodo, è ancora tutto da vedere.

Anzitutto l’eccesso della domanda sull’offerta, per cui i produttori potrebbero sfruttare questo vantaggio e far salire i prezzi. Gli stravolgimenti dovuti al virus offrono loro questa opportunità. L’inflazione potrebbe anche essere indotta da interruzioni nella produzione e dalla sua localizzazione. Produrre a livello locale ha un costo. Le aziende, rendendosi conto della vulnerabilità che comporta la fabbricazione dei loro prodotti in luoghi lontani – e in Cina in particolare – prenderanno in considerazione il rimpatrio di parte della loro produzione. Questo però è ovviamente più costoso (con costi più elevati trasferiti sul consumatore finale).

A quanto detto si può aggiungere:
– un aumento del protezionismo in caso di una nuova vittoria di Donald Trump;
– misure per ridurre le disuguaglianze (elicottero monetario);
– un’impennata dell’offerta di moneta (l’aggregato M2).

Infine, alcuni analisti affermano che la revisione della politica monetaria della Fed derivi dal timore che l’inflazione possa salire in modo sostanziale e duraturo. A nostro parere, il dibattito su un’inflazione consistente e sostenuta è oggi prematuro per diversi motivi.

L’offerta di moneta

Uno degli argomenti per giustificare l’inflazione è il boom dell’offerta di moneta. Quest’ultima in effetti cresciuta fortemente in seguito alla crisi del coronavirus, che ha spinto le banche centrali ad “aprire i rubinetti” della liquidità. L’aggregato monetario M2 è così cresciuto in modo quasi esponenziale nella maggior parte dei Paesi e in particolare negli Stati Uniti. Tuttavia, per valutarne l’efficienza e l’impatto sull’inflazione, è necessario osservare soprattutto la velocità della moneta. Questo termine si riferisce alla velocità con cui il denaro viene scambiato, o speso, in un’economia. Un’alta velocità è il segno di un’economia dinamica e viceversa. Attualmente questi dati continuano a diminuire e non mostrano (per il momento) alcun segno di ritorno alla “normalità”.

L’elicottero monetario

Il modello economico americano ci ha mostrato i suoi limiti durante questa crisi economica e sanitaria (quasi) senza precedenti. Limiti in termini di concentrazione dei consumi nel Pil e limiti a livello sociale. Su quest’ultimo punto abbiamo imparato che la linea di demarcazione tra “classe media” e “poveri” era molto sottile. Per questo motivo, lo scorso aprile il governo statunitense ha deciso di inviare direttamente assegni anti-Covid alle famiglie americane. Mentre alcuni pensavano che questi sussidi sarebbe confluiti nell’economia “reale”, uno studio di Investment Yodlee ha dimostrato che chi beneficiava dell’assistenza monetaria diretta ha risparmiato i due terzi del denaro. Così, solo un terzo dello stimolo è confluito nell’economia reale. L’elicottero monetario è spesso associato all’inflazione, o addirittura all’iperinflazione.

Nel loro studio su 56 episodi di iperinflazione globale negli ultimi 300 anni, Hanke e Krus hanno concluso che l’iperinflazione è “una malattia economica che si verifica in condizioni estreme: guerra, cattiva gestione politica e transizione da un’economia di comando a un’economia di mercato, solo per citarne alcuni”. Il finanziamento monetario, invece, è stato ampiamente utilizzato nel tempo nei Paesi sviluppati e in quelli in via di sviluppo senza causare iperinflazione.

Contrazione dei prestiti bancari

Un aumento dei prestiti bancari alle imprese e ai privati può indurre l’inflazione. Tuttavia, secondo l’ultimo rapporto della Fed, le banche americane (e probabilmente anche quelle europee) potrebbero inasprire gli standard e le condizioni per prestiti commerciali, prestiti per la casa, mutui e carte di credito. In breve, per tutto ciò che non è esplicitamente garantito dai governi, come ad esempio i prestiti PPP, le banche non sembrano inclini ad assumersi rischi per le aziende, data l’incertezza e la scarsa visibilità. Ancora più preoccupante per un’economia orientata al consumo è il fatto che la domanda di prestiti commerciali e industriali da parte delle grandi e medie imprese si sia indebolita dopo il rafforzamento nel primo trimestre.

Valuta

Anche l’effetto valutario è molto importante nel calcolo dell’inflazione. Il calo del dollaro rispetto a un paniere di valute potrebbe alimentare l’aumento dei prezzi negli Stati Uniti, ma in Europa il contesto è più complicato, addirittura deflazionistico. Secondo i calcoli della Bce, un apprezzamento del 10% dell’euro rispetto a un paniere di valute rappresentative – il famoso tasso di cambio effettivo – riduce l’inflazione di un punto. Tuttavia, da gennaio 2017, il tasso di cambio effettivo dell’euro si è apprezzato di circa il 10%. Quindi, se resta al livello attuale (circa 1,20 dollari), l’inflazione dovrebbe diminuire dello 0,6%. Questo scenario, se confermato in un momento in cui l’inflazione si aggira intorno allo 0,3% nell’ Eurozona, non sarebbe favorevole per la Bce, il cui obiettivo è quello di far tendere l’inflazione al 2%.

L’inflazione non va temuta. In teoria, quando l’economia non funziona a pieno regime – cioè quando ci sono manodopera o risorse inutilizzate – l’inflazione contribuisce ad aumentare la produzione. Avere più moneta si traduce in una maggiore spesa, che equivale a una maggiore domanda aggregata. Una domanda più elevata, a sua volta, innesca un aumento della produzione.

L’inflazione rende anche più facile per i debitori pagare i loro prestiti con denaro che ha un valore inferiore di quello che hanno preso in prestito. Ciò incoraggia l’assunzione e l’erogazione di prestiti, il che aumenta ulteriormente la spesa a tutti i livelli. Forse la cosa più importante per la Fed, ad esempio, è il fatto che il governo statunitense è il più grande debitore del mondo e che l’inflazione contribuisce ad attutire lo shock del suo enorme debito.

Un aumento dell’inflazione nel breve termine non è fuori questione o da temere, soprattutto nel caso venisse scoperto un vaccino per il coronavirus. Nel medio termine, tuttavia, non crediamo che si manifesterà un’inflazione sostenuta, ben al di sopra degli obiettivi della banca centrale. Affinché le politiche redistributive e gli altri programmi di sostegno si traducano in un’inflazione sostenuta, è fondamentale avere la prova di una “sana” ripresa economica. La ripresa della domanda può infatti indurre una ripresa dell’inflazione. Infine, ci vorrà anche un po’ di tempo prima che le pressioni salariali ricomincino a farsi sentire.

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