Quanto durerà il rallentamento dei mercati emergenti?

A cura di AllianceBernstain

I titoli dei mercati emergenti hanno subìto un deprezzamento nel terzo trimestre, ampliando il divario con gli azionari dei mercati sviluppati. Benché sia forse troppo presto per approfittare dell’attuale debolezza e investire nei mercati emergenti, è bene rimanere vigili per cogliere eventuali segnali di un rimbalzo.

Dall’inizio dell’anno l’indice MSCI Emerging Markets ha registrato una forte perdita in termini di valuta locale, e ancora di più in dollari USA. I rendimenti dei mercati emergenti sono stati trascinati verso il basso dalla crisi valutaria turca e dai timori che le difficoltà che sta attraversando la Cina potessero essere aggravate dall’intensificarsi della guerra commerciale con gli USA. Gli investitori si chiedono se la brusca marcia indietro dello scorso gennaio continuerà, cercando eventuali segni di contagio su altri mercati.

Dopo una ripresa nei mercati emergenti durata due anni, gli investitori temono l’incombere di una crisi sistemica. Ma è importante mantenere separate le due questioni, e guardare ai rischi nella giusta prospettiva prima di disinvestire dai titoli dei mercati emergenti o di aumentare l’esposizione in attesa di una ripresa.

L’andamento dei singoli paesi evidenzia che i mercati emergenti non sono tutti uguali. I titoli turchi e argentini sono stati i peggiori dei mercati emergenti, e anche il mercato cinese e quello sudcoreano hanno subìto una flessione. I titoli russi e tailandesi hanno invece registrato performance positive. In molti mercati, il forte deprezzamento delle valute locali ha determinato perdite ancora più sensibili in dollari americani.

Due tipi di problemi, due tipi di rischio

Nel panorama dei mercati emergenti si riscontrano attualmente due problematiche. La prima ha a che fare con le pesanti crisi economiche e valutarie che stanno colpendo alcuni paesi. La seconda riguarda la Cina.

Turchia, Sudafrica e Argentina rientrano nella prima. Queste nazioni sono alle prese con la classica crisi che vivono i paesi emergenti: decisioni politiche inadeguate, forti disavanzi delle partite correnti, eccessivo deficit in valuta straniera e deprezzamento delle valute.

Dopo il forte afflusso di capitali nei titoli azionari e obbligazionari dei paesi emergenti, dal 2016 fino all’inizio del 2018, una fuga precipitosa da quei titoli potrebbe diffondere il panico altrove. Il dollaro forte e l’aumento dei tassi di interesse nei mercati sviluppati potrebbero propagare il contagio oltre i confini del mondo in via di sviluppo, colpendo ad esempio le banche europee che detengono grosse quantità di asset turchi. Inoltre, il sentiment degli investitori potrebbe danneggiare i rendimenti anche nel caso in cui i fondamentali all’esterno di questi paesi fossero relativamente robusti. Detto questo, si tratta di economie abbastanza piccole e con una esigua ponderazione nel benchmark. Di conseguenza, riteniamo che le relative problematiche e difficoltà rimangano circoscritte, senza contagiare il resto del mondo.

Le sfide dell’economia cinese: attuare politiche adeguate mentre è in corso una guerra commerciale

La Cina è tutta un’altra storia. Ciò che accade nella seconda economia più grande del mondo riguarda senza dubbio anche il resto del mondo, e le questioni che sta affrontando non hanno precedenti. Qui, i responsabili delle politiche economiche devono riuscire a gestire il rallentamento della crescita e un’economia in evoluzione, e al contempo muoversi strategicamente nella guerra commerciale con gli Stati Uniti.

Le autorità cinesi sono sottoposte a crescenti pressioni. Il 23 settembre gli USA hanno imposto nuovi dazi su $200 miliardi di prodotti cinesi. La Cina ha reagito imponendo a sua volta dazi su importazioni statunitensi pari a $60 miliardi, ma nel complesso la sua risposta è stata relativamente moderata. Riteniamo che la Cina abbia tre alternative per stimolare la crescita nel caso in cui la guerra commerciale cominci a incidere pesantemente sulla sua economia già in difficoltà. Nessuna, però, è priva di rischi:

  • Svalutazione. Svalutare il renminbi è il modo più semplice di contrastare gli effetti di una guerra commerciale. Favorirebbe la competitività delle esportazioni cinesi sui mercati mondiali, compensando così gran parte degli eventuali danni arrecati dai dazi. Tuttavia, un’eccessiva svalutazione potrebbe indurre i risparmiatori cinesi a portare i propri capitali fuori dal paese, con il conseguente indebolimento dell’economia interna e l’instaurarsi di un circolo vizioso. Come se non bastasse, il deprezzamento della moneta non farebbe che innescare ulteriori ritorsioni da parte degli USA.

Bisogna, tuttavia, considerare alcuni fattori incoraggianti. In primo luogo, la svalutazione del renminbi è stata finora modesta, dopo il forte deprezzamento del 19 giugno, durato fino al 15 agosto di quest’anno, la divisa cinese si è effettivamente rafforzata (Grafico). In secondo luogo, i politici sono ben consci che la svalutazione è una lama a doppio taglio. Infatti, il 19 settembre il premier cinese Li Keqiang ha dichiarato che una svalutazione avrebbe “causato più danni che benefici”. Infine, siamo convinti che le istituzioni cinesi abbiano imparato la lezione dalle precedenti esperienze in campo valutario: i controlli per prevenire la fuga dei capitali sono più rigidi, il che consente di ridurre l’impatto di eventuali svalutazioni sulla stabilità del sistema finanziario.

Stimolo fiscale. Se incanalate nella giusta direzione, le misure di stimolo potrebbero rafforzare la crescita dell’economia cinese. L’avvio di nuovi progetti infrastrutturali in determinate aree potrebbe generare dei profitti tangibili. Pechino, ad esempio, con una popolazione di 24 milioni di abitanti ha un disperato bisogno di un secondo aeroporto. Tali misure potrebbero gravare sul debito cinese, ma è evidente come il sistema finanziario cinese sia maturato: molte banche sono ben consapevoli dei pericoli derivanti da un’eccessiva estensione del credito. Quindi basterebbe un po’ autoregolamentazione per ridurre il rischio di eventuali eccessi. Tuttavia, la politica di stimolo su larga scala che la Cina ha adottato una decina di anni fa potrebbe non essere più realizzabile nell’odierno contesto.

  • Riforma fiscale. Gli osservatori internazionali non prestano molta attenzione alla riforma fiscale, e invece dovrebbero. Dopo il recente taglio delle aliquote deciso dalle autorità cinesi, il gettito fiscale delle società sta crescendo più rapidamente del PIL nominale. Secondo molti economisti, ciò crea un terreno fertile per una riduzione fiscale che potrebbe anche fare da stimolo all’economia nel settore dell’imprenditoria privata, dei consumi e servizi.

Canali di contagio

Nel caso della Cina, le conseguenze negative di una guerra commerciale e/o di un passo falso a livello politico potrebbero essere altamente contagiose. Anche se la Cina si sta preparando ad affrontare l’impatto di una radicale trasformazione nel settore della distribuzione, sarà molto difficile creare nel giro di poco alternative locali in alcuni settori chiave, come quello dei semiconduttori. Inoltre, la svalutazione potrebbe avere conseguenze indesiderate sulle valute asiatiche. E se il rallentamento economico della Cina peggiorasse, gli effetti potrebbero essere dolorosi; ad esempio, una riduzione della domanda di ferro o rame si ripercuoterebbe su altri paesi dei mercati emergenti fornitori di materie prime.

Detto questo, siamo convinti che l’economia cinese sia multidimensionale, e che spesso i suoi punti di forza siano sottovalutati. Infatti, l’economia interna è abbastanza forte da sopportare l’imposizione di dazi elevati. Anche se la vendita di automobili ha subìto un forte rallentamento, diversi settori come quello alimentare, del trasporto aereo o dell’edilizia residenziale continuano a registrare una solida crescita. Riteniamo che i fondamentali economici del grande paese asiatico siano più robusti di quanto sia largamente percepito, il che lascia ai responsabili delle politiche economiche margini di manovra nella gestione delle sfide odierne.

Cosa devono fare gli investitori?

Pur ridimensionando i rischi presenti in Cina, Turchia e nel resto dei mercati emergenti, la preoccupazione degli investitori è comprensibile. Dovrebbero disinvestire dai titoli dei mercati emergenti? O è invece il momento giusto per aumentare l’esposizione ai tali asset?

I mercati emergenti svolgono un ruolo importante nell’investimento azionario, e riteniamo opportuno per chi investe con orizzonti a lungo termine mantenere le proprie esposizioni strategiche a tali asset. A nostro avviso, le società che sono nella posizione di catturare una forte crescita economica sottostante offriranno un potenziale di rendimento interessante nel momento in cui l’attuale volatilità si attenuerà.

Malgrado le attuali difficoltà, è ancora probabile che nei prossimi anni la crescita del PIL nei mercati emergenti sia ben più consistente rispetto a quella dei mercati sviluppati. Molti paesi hanno solide bilance delle partite correnti e un esiguo debito con l’estero, e sono inoltre meno vulnerabili di un tempo nei confronti di un dollaro forte. In passato, la solida crescita economica degli USA sosteneva quella dei mercati emergenti, grazie alla domanda di materie prime e beni di consumo. Dal 2015 a oggi la crescita degli utili delle società ha registrato una forte ripresa e le valutazioni dei mercati emergenti sono scambiate a forte sconto rispetto ai titoli dei mercati sviluppati.

Tuttavia, nel breve termine, è necessario adottare un approccio prudente. Diversi indicatori anticipatori mostrano che non è ancora stato toccato il fondo. Allo stesso tempo, riteniamo che i mercati possano riprendersi molto velocemente dalle crisi di fiducia. Dalla nostra ricerca emerge che i cicli dei rendimenti azionari emergenti normalmente si sviluppano su periodi pluriennali e con numerosi ostacoli lungo il percorso.

Le seguenti tre linee guida possono aiutare gli investitori a prendere decisioni riguardo ai titoli emergenti nel contesto attuale:

  1. E’ troppo presto per un cambiamento tattico. I tempi non sono ancora maturi per investire approfittando dell’attuale debolezza dei mercati emergenti. Allo stesso tempo, però, non consigliamo di ridurre l’esposizione ai titoli, perché i rialzi possono verificarsi in modo repentino, e si sa quanto è difficile prevederne la tempistica. Oltre a tenere d’occhio gli indicatori anticipatori, esistono molti strumenti di misurazione dell’attività di mercato in grado di segnalare eventuali miglioramenti o peggioramenti. Ad esempio, quando l’andamento e le revisioni delle stime sugli utili si stabilizzano, il mercato potrebbe essere pronto per un rimbalzo. L’indicatore di ipervenduto ci dice quando il prezzo di una classe di attivo è sceso troppo e potrebbe essere pronto per una ripresa. E quando le valutazioni azionarie dei mercati emergenti scambiano ai minimi storici rispetto ai loro omologhi dei mercati sviluppati, gli investitori dovrebbero farsi subito avanti.
  1. Non scommettere sull’esito della guerra commerciale tra USA e Cina. Nessuno sa realmente quando finirà. Come si è già visto in occasione della controversia tra USA e Messico, la soluzione può arrivare presto e inaspettatamente. Se gli USA e la Cina raggiungono una risoluzione amichevole, è prevedibile un rimbalzo dei titoli cinesi. Ma attenzione all’esposizione alle società esportatrici, che risentiranno di un eventuale esito negativo del conflitto commerciale. Il mercato cinese offre una scelta di oltre 4.000 titoli. I nostri comparti dei mercati emergenti generalmente si concentrano su società esposte ai fattori di crescita a lungo termine che non dovrebbero subire conseguenze dirette dei dazi.
  2. Mantenere un approccio attivo e un focus sui fondamentali. In questo momento, i portafogli passivi sono particolarmente a rischio nei mercati emergenti. L’investimento attivo, invece, è in grado di evitare le sacche più rischiose del mondo in via di sviluppo, concentrando l’attenzione su società che sono nella posizione di resistere alle pressioni. Qualora si verificasse un rialzo, quelle aziende con forti vantaggi commerciali e un solido stato patrimoniale, che sono state ingiustamente penalizzate dalla contrazione del mercato, saranno ottime fonti di rendimento potenziale.

Oggi non ci sono risposte facili per chi investe nei mercati emergenti; tuttavia, se si guarda alle condizioni di mercato e alla situazione macroeconomica con la giusta prospettiva, è possibile adattarsi nel modo più opportuno al complesso contesto e prepararsi per un’eventuale ripresa.

 

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