Quote rosa: i paesi europei con normative vincolanti, come Italia e Francia, fanno meglio degli altri

Un nuovo studio dimostra l’importanza della diversità per il buon funzionamento degli organi di governo societario. Quando le società sono obbligate, tramite norme vincolanti e sistemi sanzionatori, ad avere una rappresentanza femminile significativa nel proprio consiglio di amministrazione – come in Italia o in Francia – ottengono maggiore diversità e più competenze, rispetto a quelle dei paesi europei che si limitano a promuovere iniziative volontarie, come il Regno Unito.

Sonia Falconieri, docente di Finanza alla City’s Business School di Londra con Chiara De Amicis, dottoranda e insieme a Moez Bennouri della Montpellier Business School, hanno preso in esame i consigli di amministrazione di società quotate italiane, francesi e britanniche per un periodo di 14 anni. Ognuno dei tre paesi ha le proprie leggi sulla parità di genere.

Regno Unito: promozione di iniziative volontarie. Il Rapporto Davies (Women on boards) del 2011 contiene la raccomandazione del raggiungimento dell’ obiettivo di almeno il 25% di rappresentanza femminile nei cda del Ftse 100, percentuale successivamente modificata al 33% nel 2015. Anche il Ftse 250 ha ricevuto la raccomandazione di raggiungere lo stesso obiettivo entro il 2020.

Francia: nel 2011 viene richiesto alle società quotate e non quotate con più di 500 dipendenti e più di 50 milioni di euro di fatturato di avere una rappresentanza femminile minima del 20% nei cda, aumentata al 40% nel 2014. L’inosservanza della disposizione è sanzionata con la nullità delle nomine e la sospensione di tutti i benefici previsti per gli amministratori.

Italia: nel 2012 entra in vigore una legge che vincola le società quotate a garantire al sesso meno rappresentato almeno il 20% dei posti negli organi di governo societario al primo rinnovo del cda e il 33% dopo il secondo rinnovo. L’inosservanza di tale obbligo comporta sanzioni pecuniarie elevate e persino l’annullamento della carica di amministratore.

La ricerca dimostrata che l’introduzione di una normativa sulla parità di genere è stato il principale catalizzatore per l’incremento della presenza femminile nei consigli di amministrazione. Nei paesi con quote rigide e sistema sanzionatorio, come Francia e Italia, l’incremento di donne negli organi di governo societario è stato molto più marcato. Un altro studio condotto per determinare la “qualità” dei cda in base alle linee guida sulle quote di genere non ha mostrato alcun deterioramento nei casi di elevata diversità e, in diversi casi, la qualità è migliorata laddove le quote erano obbligatorie.

“La diversità dei consigli di amministrazione è cruciale per il successo e la sostenibilità di una società”, commenta Sonia Falconieri. “C’è il rischio che con l’attuale crisi pandemica i paesi che non applicano le leggi sulla parità di genere facciano un grande passo indietro in termini di rappresentanza femminile nei cda. Non esiste alcuna prova che suggerisca che la qualità dei consigli di amministrazione peggiori quando la regolamentazione è obbligatoria. Nonostante ciò, le normative sulle quote rosa non hanno ancora avuto un impatto complessivamente positivo sulla nomina di dirigenti o presidenti di consiglio di amministrazione donne, che rimane una grande sfida e un ostacolo alla parità di genere”.

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