Ramenghi (Ubs WM): “Manteniamo un approccio neutrale sull’azionario italiano”

A cura di Matteo Ramenghi, Chief Investment Officer Ubs WM Italy

Lo scorso anno l’economia italiana è uscita da un vero e proprio tunnel recessivo durato 13 trimestri consecutivi e aggravato dalla crisi dei debiti pubblici e dal credit crunch. Tra il 2012 e il 2014, l’Italia aveva perso quasi cinque punti percentuali di PIL in termini reali (quasi 9 dall’inizio della crisi nel 2008). A partire dal 2015, la ripresa, seppur ancora modesta (+0,6%), è scaturita principalmente da due fattori esterni: la debolezza dell’euro e il basso prezzo del petrolio.

La buona notizia è che si sono rimessi in moto i consumi, dando maggiore concretezza e sostenibilità al percorso di ripresa, e che la stretta fiscale dovrebbe via via allentarsi. Tuttavia, il contesto esterno è di minor supporto e, soprattutto, molto più incerto. Lo scorso anno, la caduta dei prezzi dell’energia ha rappresentato un sostegno alla domanda interna ma potrebbe non esserlo più, o addirittura diventare un freno, se i recenti rialzi del prezzo del petrolio dovessero confermarsi. Un ragionamento simile si può applicare all’euro: tra il 2014 e il 2015 era arrivato a perdere oltre il 20%, ma da inizio anno ha recuperato circa il 3%.

Si aggiungono, poi, alcuni fattori esogeni che potrebbero determinare un contagio sia finanziario sia politico, soprattutto in considerazione dei referendum costituzionali in programma in ottobre. Come è noto, la Gran Bretagna si accinge a votare per la permanenza o l’uscita dall’Unione Europea (soprannominato dai media ’Brexit’).

L’Italia ha una scarsa esposizione diretta, che rappresenta poco più dell’1% delle nostre esportazioni, ma, in caso di Brexit, dovremo attenderci forte volatilità sui mercati e potenzialmente un allargamento degli spread sui titoli di Stato periferici, con conseguenti possibili vendite sui titoli finanziari.

Un ulteriore elemento di rischio proviene dalla Spagna. Il 26 giugno, infatti, tornerà alle urne per provare a formare un governo – tentativo fallito in seguito alle elezioni dello scorso 20 dicembre. I sondaggi non indicano una chiara maggioranza ed è probabile che si giungerà alla formazione di un governo di coalizione con una minoranza risicata. Un risultato probabilmente non gradito ai mercati, che vorrebbero un consolidamento fiscale, che potrebbe portare all’allargamento degli spread sui titoli di Stato e a un contagio agli altri titoli periferici. Inoltre, una forte affermazione di partiti anti-establishment establishment potrebbe avere un’influenza sui referendum costituzionali previsti in Italia ad ottobre. Per tutte queste ragioni abbiamo marginalmente ridotto le nostre stime per la crescita dell’economia italiana all’1,1% per il 2016 e all’1,2% per il 2017.

Oltre a una ripresa ancora debole, l’indice azionario italiano risente di un peso molto elevato del settore bancario, che si trova ad affrontare delle complesse sfide. La formazione del Fondo Atlante per sostenere gli aumenti di capitale e acquistare crediti in sofferenza dalle banche è ritenuta dal mercato un passo positivo ma non sufficiente, data la limitata potenza di fuoco. Nonostante le valutazioni particolarmente complesse, manteniamo, quindi, un approccio neutrale sull’azionario italiano (così come su quello europeo), in considerazione della crescita economica ancora anemica, dei rischi politici e delle difficoltà del sistema bancario. Una normalizzazione dei problemi del settore bancario e una maggior visibilità sulla situazione politica europea sono prerequisiti per un recupero sostenibile.

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