Riportare l’arte nella politica monetaria

A cura di Joachim Fels, Global Economic Advisor di Pimco

Circa vent’anni fa, Richard Clarida, Jordi Gali e Mark Gertler pubblicarono un articolo fondamentale nel Journal of Economic Literature dal titolo “La scienza della Politica Monetaria: una nuova prospettiva keynesiana” che divenne rapidamente una lettura obbligata per gli studenti di economia monetaria e aspiranti banchieri centrali. Il testo riassumeva il quadro teorico macroeconomico per analizzare il target di inflazione e le regole sui tassi di interesse che sono stati utilizzati da molte banche centrali di tutto il mondo negli ultimi decenni. Mentre la politica monetaria era stata tradizionalmente ritenuta come un’arte prevalentemente praticata dai banchieri, l’approccio scientifico divenne sempre più influente, culminando con l’ascesa dei principali economisti accademici come Ben Bernanke e Janet Yellen al timone della Federal Reserve. Tuttavia piaccia o no, secondo Fels, l’arte potrebbe favorire un ritorno nella politica monetaria, e in parte a spese della scienza.

Primo, nel modello standard neo-keynesiano, il tasso di interesse nominale è il solo strumento di politica monetaria. Il bilancio della banca centrale, gli aggregati monetari e creditizi non ricoprono alcun ruolo. Dalla crisi finanziaria globale, tuttavia, le banche centrali usano abitualmente il loro bilancio come uno strumento aggiuntivo di politica monetaria, che è difficile da incorporare nel modello standard. Quindi Ben Bernanke con una celebre battuta nel 2014 disse che “il problema con il QE è che funziona in pratica, ma non in teoria”. Mentre gli economisti concordano che il QE abbia funzionato, restano serie domande su come esattamente. Con gli economisti incerti su come spiegare e modellare il QE, i banchieri centrali che utilizzano il bilancio richiedono quindi alcune abilità artistiche per calibrare la giusta dose di allentamento quantitativo o di stretta.

Secondo, un ingrediente chiave del modello neo-keynesiano è la relazione tra disoccupazione e inflazione, la cosiddetta curva di Phillips. La curva prevede che la diminuzione della disoccupazione porti a un aumento dell’inflazione. Tuttavia, empiricamente, questo collegamento si è indebolito di recente per una ragione su cui gli economisti continuano a dibattere. Qualunque sia la ragione principale, una curva di Phillips piatta complica enormemente la capacità della banca centrale  di orientare l’inflazione.

Terzo, nel modello neo-keynesiano i cambiamenti nei tassi di interesse nominali hanno effetti reali perché i prezzi sono considerati “vischiosi”, cioè cambiano solo lentamente. Tuttavia, come spiega un documento di Alberto Cavallo presentato di recente a Jackson Hole, l’avvento di Amazon e, più in generale, dell’ e-commerce ha portato ad aggiustamenti dei prezzi più frequenti da parte dei rivenditori, rendendo i prezzi meno statici. Nella logica del nuovo modello keynesiano, prezzi più flessibili ridurrebbero nell’economia reale l’impatto di un dato cambiamento nei tassi di interesse nominali.

Quarto, il documento di Cavallo sostiene anche che la crescita dell’e-commerce abbia aumentato la trasmissione delle variazioni dei prezzi dei carburanti e dei tassi di cambio sui prezzi al consumo, poiché i rivenditori sono più veloci nel trasferire gli shock dei costi sui prezzi online. Le banche centrali potrebbero quindi avere una presa più debole sull’inflazione, soprattutto nel breve periodo. Ciò significherebbe che le banche centrali dovrebbero adeguare più frequentemente i tassi di interesse e in modo più aggressivo se vogliono controllare l’inflazione, o dovranno accettare deviazioni più ampie e frequenti dai loro obiettivi di inflazione, che potrebbero danneggiare la loro credibilità.

Quinto, il presidente della Fed Jerome Powell nelle sue osservazioni introduttive a Jackson Hole ha fatto di tutto per sottolineare la grande incertezza sui veri livelli delle “stelle” che hanno guidato le banche centrali e che sono variabili chiave nel modello standard. Secondo le stesse parole di Powell “guidare la politica dalle stelle alla pratica, comunque, è stato piuttosto difficile di recente perché la nostra miglior valutazione in merito alla posizione delle stelle è cambiata in modo significativo”.

Per concludere, l’avvento del quantitative easing e di importanti cambiamenti strutturali nell’economia hanno reso la tradizionale scienza della politica monetaria un po’ meno utile per i responsabili di politica monetaria. Secondo l’esperto di PIMCO, a dire il vero la scienza della politica monetaria si sta evolvendo e sta cercando attivamente modi per adattare il modello tradizionale o per creare nuove strutture. Nel frattempo, i policy makers dovranno probabilmente fare meno affidamento su modelli e semplici regole di politica e divenire più “artistici” nella lettura e risposta ai segnali economici e finanziari. In altre parole secondo l’analista di PIMCO è probabile che la politica monetaria diventi meno “noiosa” e, a meno che non si abbia una conoscenza approfondita di arte, più imprevedibile.

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