Rischi geopolitici: timori e realtà per i mercati finanziari

A cura di Colin Moore, Global Cio Columbia Threadneedle Investments
Data la minaccia posta dal rischio geopolitico, è ragionevole domandarsi perché i mercati finanziari globali rimangano così vivaci. La risposta potrebbe risiedere in parte nella natura costante del rischio geopolitico. Un proverbio francese recita “plus ça change, plus c’est la même chose” (più le cose cambiano, più rimangono uguali). Basta una ricerca superficiale per trovare svariate citazioni di antichi filosofi che accennano alla certezza dell’incertezza. Per esempio, a Plinio il Vecchio si attribuisce la frase “In tali faccende l’unica certezza è che nulla è certo”. È sempre stato difficile per gli investitori costruire portafogli che tengano conto della minuscola probabilità che una di queste minacce geopolitiche si trasformi in una crisi tale da influire notevolmente sulle performance di mercato. Pertanto, l’interrogativo più importante potrebbe essere: “La natura del rischio geopolitico è cambiata al punto da accrescere la probabilità di turbolenze sui mercati?”.
Per analizzare una questione, occorre prima definirla. Secondo una definizione comune, il rischio geopolitico è la possibilità che la politica estera di un paese influenzi o turbi le dinamiche politiche interne e la politica sociale di un altro paese o di un’altra regione. Purtroppo questa definizione non coglie pienamente la portata del rischio geopolitico nel mondo di oggi. Alcuni rischi (ad es. l’annessione della Crimea e il sostegno ai separatisti in Ucraina da parte della Russia, i contrasti di Cina e Giappone su svariate isole, l’appoggio dell’Iran a Hezbollah) soddisfano tale definizione, altri no. Esiste un numero crescente di gruppi allineati con un’ideologia anziché con un paese tradizionale: è questo il caso, ad esempio, di Boko Haram in Nigeria e dello Stato islamico (ISIS) in Medio Oriente.
Questi gruppi rappresentano un rischio geopolitico significativo. Inoltre, in quanto collezionista di vecchie mappe, mi viene rammentata continuamente la potenziale instabilità dei paesi e delle loro sfere di influenza. La creazione e il successivo crollo dei più grandi imperi del mondo hanno comportato cambiamenti delle strutture politiche e, molto spesso, conflitti armati. Le guerre possono influire sui mercati, ma non è detto che ciò avvenga sempre. La presenza di una lunga e significativa reazione dei mercati sembra dipendere dal luogo del conflitto bellico, dalla sua maggiore o minore diffusione e/o dall’impatto esercitato su importanti materie prime a livello globale, come il petrolio.
La nostra analisi suggerisce che, indipendentemente dalla quantità di sangue versato, i conflitti armati confinati nelle aree distanti dai centri nevralgici dell’attività economica mondiale e che non minacciano le forniture di petrolio tendono a non incidere sui mercati. Si noti che gli investitori potrebbero avere una breve reazione nervosa mentre tali criteri vengono valutati. La possibilità che un conflitto si estenda ad aree di più intensa attività economica, o piuttosto il timore di una sua estensione, sembrano essere influenzati dal coinvolgimento di una o più “superpotenze”. La definizione di superpotenza e il tipo di coinvolgimento sono rilevanti per rispondere alla domanda “La natura del rischio geopolitico è cambiata?”.
Per essere una superpotenza, sembra che un paese/una regione/un gruppo debba soddisfare tre criteri:
1. Controllare o influenzare il 20% circa del PIL mondiale
2. Avere una significativa capacità militare
3. Essere in grado di proiettare quel potere militare a livello globale.
Gli Stati Uniti sono l’unico paese che controlla il 20% del prodotto interno lordo (PIL) mondiale, ma l’Unione europea nell’insieme ne controlla/influenza una percentuale maggiore e la Cina è prossima a soddisfare tale criterio. La Russia non ha un controllo o un’influenza sufficienti, ma i suoi tentativi di riaffermare l’autorità esercitata dall’Unione Sovietica rappresenta chiaramente una fonte di rischio geopolitico. Tutti godono di una significativa forza militare, ma il coordinamento degli apparati militari degli Stati membri dell’Unione europea (UE) è limitato e la Cina è priva della capacità di proiettare potere a causa della sua presenza navale relativamente ridotta. È difficile comportarsi da superpotenza mondiale senza una forza navale o aerea che possa essere proiettata a livello globale. Di conseguenza, gli Stati Uniti sono attualmente l’unica grande potenza che soddisfa tutti e tre i criteri definitori di una superpotenza.
È evidente dalle loro azioni che la Russia e la Cina non sono disposte ad accettare lo status quo. Entrambi i paesi puntano chiaramente a esercitare maggiore influenza sui territori ad essi limitrofi, ma anche nella più ampia arena globale. C’è da aspettarsi che la Cina espanda notevolmente la propria presenza navale, creando a sua volta potenzialmente maggiori tensioni con gli Stati Uniti. Nel frattempo, la Cina è confinata ma sempre più assertiva nelle sue rivendicazioni territoriali nel Mar della Cina meridionale, ecc. Sebbene di portata regionale, queste azioni creano un potenziale rischio geopolitico globale acuendo le tensioni con diversi paesi vicini, tra cui Giappone, Vietnam e Filippine. Sia il Giappone che le Filippine invocherebbero probabilmente il sostegno della marina militare statunitense qualora le tensioni con la Cina sfociassero in un conflitto armato.
Benché la Russia disponga di significative risorse navali e aree, non è chiaro in che misura queste necessitino di un ammodernamento. La Russia ha intrapreso una campagna per riaffermare la propria influenza politica ed economica sulle ex Repubbliche sovietiche.
Fino a poco tempo fa, lo strumento principale utilizzato per vincere la loro resistenza era l’energia. Il monopolio regionale di cui gode di fatto la Russia nell’offerta marginale di gas all’Europa tramite Gazprom le ha consentito di riasserire la propria influenza in modo surrettizio. Tuttavia, l’escalation degli eventi nell’Ucraina orientale ha accresciuto la visibilità delle intenzioni russe e incrementato il rischio di una propagazione del conflitto.
La Russia sta chiaramente mettendo alla prova le reazioni della NATO e dell’UE, ma non crediamo che intenda scatenare una guerra vera e propria. Più verosimilmente assisteremo a un intensificarsi delle attività in stile “Guerra fredda”, con conseguenze globali per i livelli di spesa militare. Il rischio per i mercati finanziari potrebbe giungere non tanto da un’escalation del conflitto armato in Ucraina, quanto piuttosto dal dirottamento delle risorse economiche verso la difesa, il che potrebbe non sortire sulla crescita economica globale lo stesso effetto moltiplicatore di altre forme di investimento. Una significativa fonte di apprensione per gli investitori è la mancanza di dinamismo dell’espansione economica globale e qualsiasi fattore mini la fiducia in un’accelerazione della crescita potrebbe ripercuotersi sulle valutazioni.
I recenti eventi geopolitici hanno evidenziato l’evoluzione in atto nella natura del rischio geopolitico. Un cambiamento fondamentale è rappresentato dalle modalità del coinvolgimento militare statunitense nelle diverse crisi. Gli USA si dimostrano continuamente disposti a impiegare le proprie risorse navali e aree. Tuttavia, come osservato dapprima durante la guerra civile in Libia, quindi in Siria e poi ancora nella lotta contro l’ISIS, gli Stati Uniti sono diventati meno inclini a dispiegare truppe per risolvere conflitti globali. Questo costringe altre potenze, come il Giappone e l’UE, a riconsiderare il proprio ruolo nella risoluzione di tali conflitti. Analogamente, l’Arabia Saudita è diventata meno propensa a fungere da “swing producer” per ovviare agli eccessi di offerta di petrolio, il che potrebbe costringere la Russia e l’Iran a riconsiderare il modo in cui cooperano per risolvere la questione.
In un recente studio del Brookings Institute (The Sultans of Swing? The Geopolitics of Falling Oil Prices, a cura di F. Gregory Gause, III) l’autore, dopo aver analizzato i precedenti episodi di brusco calo delle quotazioni petrolifere, ravvisa la seguente possibilità: “In tutti questi casi, nonostante le gravi tensioni geopolitiche tra Arabia Saudita e Iran, il calo dei prezzi del petrolio ha indotto i due paesi a cooperare sul mercato petrolifero per arrestare il crollo delle quotazioni e spingerle nuovamente al rialzo. Sinora, nell’attuale fase di ribasso dei prezzi petroliferi, gli iraniani non sono stati disposti ad accettare tagli della produzione. Tuttavia, date le consuetudini passate e le gravi tensioni che la diminuzione delle quotazioni sta causando all’economia iraniana, non sarebbe del tutto sorprendente se Teheran ritornasse sulle sue posizioni e iniziasse a negoziare con Riyadh un accordo di riduzione della produzione nell’ambito dell’OPEC, anche con tagli non proporzionali a quelli operati dall’Arabia Saudita. Vi sono già indicazioni che i russi abbiano preso contatto con i sauditi per esplorare un accordo di riduzione della produzione che includa i paesi OPEC e non OPEC.”
Parte del problema nell’analizzare il rischio geopolitico risiede della parola “rischio”. È evidente, infatti, che il rischio geopolitico crea anche opportunità. La caduta del Muro di Berlino e il crollo dell’Unione Sovietica hanno prodotto notevole incertezza, ma hanno introdotto in definitiva un enorme dividendo di pace economica. Si può discutere delle modalità con cui è stato ripartito tale dividendo e di quanto sia destinato a durare, ma è difficile attribuirvi una connotazione negativa. Naturalmente, il rischio è simile alla materia: può essere trasformato, ma è raro che scompaia del tutto. I mercati tendono a reagire in modo eccessivo alla fine di una crisi, ipotizzando che sia terminata. Nella maggior parte dei casi il rischio si è semplicemente trasformato.
La caduta di un tiranno in Libia ha provocato un aumento dei conflitti tra le fazioni che in precedenza erano costrette a convivere sotto il regime dittatoriale. Abbiamo osservato un fenomeno analogo nei Balcani dopo la disintegrazione della Jugoslavia. Benché pochi piangano la scomparsa di Mu’ammar Gheddafi, Josip Broz Tito o Saddam Hussein, parecchi degli attuali rischi geopolitici sono riconducibili al rovesciamento o alla morte di questi dittatori e al cambiamento volatile che si è prodotto successivamente.
La triste verità circa l’atteggiamento degli investitori nei confronti del rischio geopolitico è l’amoralità con cui se ne valuta l’impatto sui portafogli. Se consideriamo il bilancio delle vittime della guerra civile siriana, superiore secondo le stime a 200.000 morti, oppure il genocidio in Ruanda, durante il quale 500.000-1.000.000 di persone hanno perso la vita in un periodo di 100 giorni, vediamo che i mercati sono rimasti per lo più imperturbati. Non intendo con questo affermare che gli investitori, in quanto individui, non siano profondamente scossi da queste tragedie. Tuttavia, quello spicchio di coscienza che utilizziamo in quanto investitori è concentrato sull’impatto sui ricavi e sui profitti delle società in cui investiamo, non sulle morti, le menomazioni o le condizioni di vita pericolose sopportate dalle persone affette dalla tragedia. A nostro avviso, la reazione degli investitori al rischio geopolitico può essere sintetizzata come segue:
Cambiamento del valore di mercato = Cambiamento delle aspettative di crescita / Cambiamento delle aspettative circa i rischi per la crescita
Questa formula non intende rappresentare una vera relazione matematica, ma piuttosto descrivere il modo in cui gli investitori sembrano valutare il rischio geopolitico. Gli elementi più importanti sono l’enfasi sui fattori rilevanti per la valutazione degli investimenti e l’assenza di giudizi morali. L’emergere di un nuovo rischio geopolitico viene spesso accompagnato da un’impennata del denominatore della formula del rischio, che provoca un ribasso sui mercati, ma di solito questa reazione dura il tempo necessario agli investitori per valutare l’impatto del rischio sulle proprie ipotesi relative agli utili e ai cash flow. Se l’evento è localizzato e non pare destinato a propagarsi o ad incidere sulla crescita economica globale, il premio al rischio si dissolve rapidamente, come accade a un’onda in uno stagno provocata dall’impatto di un sassolino su una superficie d’acqua altrimenti calma. L’onda o il premio al rischio assumono dimensioni rilevanti in prossimità della fonte dell’evento, ma si dissolvono velocemente via via che ci si allontana da tale fonte nello spazio o nel tempo.

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