Russia, che cosa succede nel quarto più grande emettitore di Co2 al mondo

A cura di David Nicholls, Senior Analyst di East Capital

Il 23 settembre, in una mossa ampiamente inosservata dal mondo, all’apertura del vertice dell’Onu sull’azione per il clima a New York, la Russia ha formalmente ratificato l’accordo di Parigi. Nonostante gli obiettivi siano tutt’altro che ambiziosi, riteniamo che sia un segnale della crescente attenzione ai cambiamenti climatici all’interno del Paese. È importante notare, tuttavia, che questo cambiamento positivo è in larga parte “dal basso verso l’alto”, cioè guidato dalle grandi società piuttosto che dal governo.

L’importanza critica della questione è indiscutibile: la Russia, il secondo produttore mondiale di petrolio e gas, ha emesso 1,8 miliardi di tonnellate di Co2 fossile nel 2018, pari al 4,6% delle emissioni mondiali, preceduta soltanto da Cina, Stati Uniti e India a livello globale. Le emissioni pro-capite superano del 79% il dato Ue e del 53% quello cinese, mentre sono inferiori del 25% rispetto agli Stati Uniti. I funzionari russi citano spesso il calo del 32% delle emissioni totali di gas serra dal picco del 1990, tuttavia questo è in gran parte dovuto al declino economico del paese a seguito del crollo dell’Unione Sovietica piuttosto che a uno sforzo sincronizzato all’interno del Paese.

Che cosa sta succedendo nel Paese che si riscalda a un ritmo due volte superiore alla media mondiale? L’intensificarsi delle condizioni meteorologiche estreme, le siccità che prosciugano i fiumi, gli incendi in Siberia, la preoccupazione per lo scioglimento del permafrost e anche la controversa questione della gestione dei rifiuti hanno sensibilizzato l’opinione pubblica. E con la conseguente pressione da parte di grandi partner commerciali (per lo più europei), i legislatori hanno iniziato a discutere della questione.

L’atto legislativo chiave è la legge federale sulle emissioni, attualmente in fase di stesura. Il documento introdurrebbe l’obbligatorietà della reportistica sulle emissioni di Co2, con valutazioni indipendenti per i grandi emettitori, e l’introduzione di quote di carbonio e obiettivi entro cinque anni, con scambio di quote e sanzioni in caso di superamento dei limiti obiettivo. L’accordo sarebbe sostenuto da un “piano nazionale per il cambiamento climatico” che fisserebbe obiettivi legali per la riduzione delle emissioni di Co2.

Per quanto questi sviluppi siano assolutamente positivi, i tempi e l’impatto preciso sono molto difficili da accertare, soprattutto perché le leggi sono ancora in forma di bozza. Pertanto, guardiamo con maggior favore alle azioni che le grandi società quotate in Borsa stanno intraprendendo – o che le stesse hanno messo in programma – per ridurre le emissioni. Il rinomato “Carbon Majors Report” pubblicato nel 2017 da Cdp ha evidenziato che 4 dei primi 50 emettitori a livello globale, se si considerano anche le emissioni Scope 3 (tutte le altre emissioni indirette che si verificano nella catena del valore di un’azienda, come il consumo dei combustibili delle aziende), sono società russe. In particolare, tutte queste società sono quotate e vengono scambiate sia sulla borsa di Londra che su quella di Mosca. Crediamo fermamente che l’engagement sia il modo migliore, e di fatto l’unico, per spingere queste aziende a ridurre le emissioni.

Piccoli passi ma significativi

In generale, le compagnie energetiche russe sono abbastanza indietro in questo campo: una grande compagnia petrolifera non si aspetta di presentare la propria strategia climatica prima del 2021. Il nostro obiettivo, quindi, è quello di mettere in mostra quelle che consideriamo le migliori pratiche in termini di governance e di disclosure, e ricordare costantemente al management quanto siano importanti questi temi. Questo lavoro ha portato ad alcune interessanti scoperte. La maggior parte degli investitori, ad esempio, non si aspetterebbe che uno dei Kpi (indicatori chiave di prestazione) del management di Gazprom sia legato alla riduzione delle emissioni e che questo va a incidere sulla loro remunerazione, cosa molto rara nel settore energetico a livello globale. Troviamo sia anche incoraggiante il fatto che si possa fare molto anche con interventi relativamente semplici. A titolo di esempio, il ministero dell’Ecologia russo ha stimato nel 2016 che il 27% delle emissioni totali di gas serra (incluso il metano) era imputabile alle perdite e all’evaporazione di petrolio e gas.

Siamo più ottimisti sugli sviluppi nei settori metallurgico e minerario. Ad esempio, la società produttrice di alluminio Rusal ha recentemente lanciato uno strumento di finanziamento pre-esportazione con margini legati a Kpi focalizzati sull’impatto ambientale e sullo sviluppo sostenibile. Viene inoltre aggiunto un prezzo alle emissioni pari a 20 dollari/tonnellata quando vengono considerati potenziali progetti di investimento. Per quanto la cifra rientri nella fascia bassa rispetto a quello che vediamo a livello internazionale per le ipotesi di prezzo della Co2 a lungo termine, questo approccio è assolutamente ragionevole da un punto di vista commerciale, data la natura a lungo termine dei loro progetti.

Nel settore delle utility, il più grande in termini di emissioni, ci sono meno titoli in cui investire e quindi l’attività di engagement è più limitata. Esistono tuttavia alcuni strumenti a disposizione del governo per stimolare ulteriormente la modernizzazione e gli investimenti nelle energie rinnovabili, che contribuirebbero entrambi a ridurre ulteriormente le emissioni – l’ultimo ciclo di modernizzazione dell’ultimo decennio ha ridotto le emissioni del 20-30% delle imprese più grandi. Notiamo inoltre che, se il prezzo del carbone fosse calcolato in linea con gli attuali prezzi della Co2 nell’Ue (circa 25 dollari a tonnellata), solo una delle quattro maggiori società delle utility non legate all’idroelettrico genererebbe un Ebitda positivo, assumendo che non venga trasferito alcun costo ai consumatori. Questo dovrebbe essere un chiaro segnale per il settore in generale della necessità di intervenire.

In conclusione, la Russia ha ancora un lungo percorso da affrontare per combattere il cambiamento climatico, tuttavia il fatto che molte società del settore delle materie prime siano tra i più grandi responsabili di emissioni di gas serra al mondo, l’impatto marginale di qualunque riduzione delle emissioni sarebbe significativo, soprattutto se consideriamo quanto sia possa ottenere anche con interventi relativamente semplici nel settore dell’energia.

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