Scandinavia, politiche monetarie variegate

A cura di Anjulie Rusius, M&G Investments

C’è stato un fuoco di fila di notizie sulle banche centrali del G7 nel mese di marzo, culminato in una quantità di voci non seguite però, nel complesso, da altrettante nuove azioni. La Banca del Giappone è rimasta alla finestra (dopo l’adozione del tasso negativo decisa a sorpresa a fine gennaio), il FOMC ha scelto un “attendismo accomodante” (mantenendo i tassi d’interesse invariati e abbassando le indicazioni sul tasso a lungo termine) e la Banca d’Inghilterra ha votato all’unanimità per lasciare il tasso d’interesse allo 0,5%.
Alcuni degli interventi più interessanti si sono visti in Europa, dove la Bce ha svelato tutta una serie di misure aggiuntive nell’ultimo round di allentamento monetario, incluso un nuovo taglio del tasso di deposito già negativo. Anche di questo i commentatori di mercato hanno parlato molto. Un tema invece meno discusso, sebbene non meno meritevole di attenzione, ultimamente forse è stato quello dei Paesi scandinavi, dove i tassi nominali negativi sono una caratteristica presente già da qualche tempo. Se la regione scandinava è la lacuna più grave nella vostra conoscenza delle politiche monetarie, questa lettura potrà contribuire a colmarla.
2016-03-blog-AR_itNorvegia: altri allentamenti in vista dopo quello di marzo?
Il 17 marzo, giorno successivo ala riunione del FOMC, la Norges Bank ha tagliato il tasso di deposito dallo 0,75% al nuovo minimo dello 0,5%. L’ambiente di crescita esterno più debole, la politica più accomodante all’estero e le nuove oscillazioni del prezzo del petrolio sono alcuni dei motivi citati per spiegare questa mossa.
La Norges Bank ha un obiettivo di inflazione del 2,5% e, sebbene le previsioni sull’inflazione IPC siano state riviste al rialzo nel breve termine (dal 2,6% al 3,2% per il primo trimestre di quest’anno), tale modifica è riconducibile in gran parte all’impatto ritardato del deprezzamento della corona legato al calo del petrolio nel 2015. Visto il rimbalzo della corona da inizio anno, l’effetto valuta probabilmente è destinato a scemare in un’ottica di lungo periodo. Aggiungendo a questo un ambiente di domanda globale in potenziale rallentamento e l’attenuazione delle pressioni sui salari sul fronte domestico, l’inflazione a fine 2019 è prevista all’1,6%, ampiamente al di sotto dell’obiettivo.
Come molti altri Paesi sviluppati, anche la Norvegia oggi si trova a flirtare con lo zero lower bound (ossia la situazione in cui i tassi nominali non possono scendere al di sotto dello zero). L’aspetto particolarmente interessante è che la banca centrale non ha escluso il ricorso a tassi nominali negativi, dichiarando che “qualora l’economia norvegese dovesse essere esposta a nuovi shock rilevanti, il Comitato esecutivo non escluderà l’ipotesi che il tasso ufficiale chiave possa diventare negativo”. Potrebbe essere un caso da tenere d’occhio nella corsa verso il fondo.
Danimarca: proteggere l’ancoraggio valutario
Diverse economie del mondo sviluppato stanno partecipando all’esperimento dei tassi nominali negativi, ma è stata la Danmarks Nationalbank (DNB) a fare da apripista. Contrariamente alla maggior parte delle banche centrali della regione, non punta a un obiettivo di inflazione, ma a mantenere il tasso di cambio DKK/EUR vicino al tasso centrale MCE II in unafascia di oscillazione ristretta del ±2,25%.
All’inizio di quest’anno, la DNB ha innalzato i tassi dal -0,75% al -0,65% in difesa di tale intervallo. Sebbene questa mossa fosse una contrazione, la banca ha apportato qualche ritocco anche al sistema di deposito per livelli, abbassando il limite dei conti correnti da 63,05 a 32 miliardi di DKK. Questo limite si riferisce all’importo delle riserve che le banche commerciali possono detenere presso la DNB al tasso di conto corrente dello 0,0%, mentre su ogni eccedenza al di sopra di tale soglia viene addebitato un tasso di deposito più punitivo (-0,65%), che dovrebbe stimolare il prestito bancario – il che equivale a un’azione di allentamento del credito.
La prossima mossa sul fronte dei tassi è tutt’altro che certa. Se ci saranno altri deflussi di capitali significativi con una contrazione delle riserve, la banca centrale probabilmente rialzerà i tassi. Viceversa, se la direzione dei flussi di capitale dovesse invertirsi e generare l’esigenza di un intervento con la vendita di DKK, la banca centrale potrebbe tagliare il tasso di riferimento o accumulare di nuovo riserve in cambi esteri.
Finlandia: parte dell’impegno dell’Eurozona per allentare le condizioni finanziarie
L’11 marzo l’agenzia di rating Fitch ha declassato il debito sovrano del Paese da AAA ad AA+ adducendo come motivazione la persistente debolezza dell’economia (nel 2015 il PIL è cresciuto dello 0,4%, il ritmo di espansione più lento di tutta l’UE, fatta eccezione per la Grecia). In mancanza di segnali chiari di una ripresa significativa del potenziale di crescita nel medio periodo, la dinamica del debito pubblico continua a deteriorarsi.
Facendo parte dell’Eurozona, la Finlandia è una sorta di Paese ambasciatore della politica monetaria della Bce nella regione scandinava. In linea con i partner europei, la Finlandia beneficia dell’allentamento monetario della Bce, che alla riunione del 10 marzo ha abbassato i tassi di deposito al -0,4%. Tuttavia, contrariamente alla Danimarca, non ha un sistema per livelli e le banche sono chiaramente più penalizzate se utilizzano operazioni di deposito. Sebbene il tasso di deposito abbia maggiori probabilità di muoversi verso il basso che non verso l’alto nel breve periodo, la Bce sembra orientata a spostare l’attenzione sul QE e altre misure straordinarie. Rientrano infatti in questa categoria sia l’estensione del programma di QE alle obbligazioni societarie investment grade sia le nuove operazioni TLTRO.
Svezia: il tasso di deposito non è come sembra
Il tasso di deposito della Riksbank è enormemente negativo, al livello strabiliante del -1,25%. In apparenza, sembra molto punitivo, anche se questa possibilità è molto poco sfruttata. In pratica, i certificati di debito svedesi (emessi settimanalmente con un interesse fissato al tasso repo base del -0,5%) assorbono la maggior parte del surplus di liquidità del settore bancario, mentre ogni ulteriore eccedenza viene gestita in operazioni giornaliere di aggiustamento che costano un -0,1% aggiuntivo (il tasso d’interesse raggiunge così il -0,60%). Il risultato è che il tasso interbancario, che nell’Eurozona è vicino a quello di deposito, in Svezia invece si avvicina di più al tasso base del -0,5% (ridotto dal -0,35% l’11 febbraio). Per questo, spingere il tasso di deposito ancora di più in territorio negativo inciderebbe poco sul processo decisionale delle banche. Al contrario, l’elemento più importante è il tasso repo base principale.
Un altro aspetto da tenere presente è l’apprezzamento della corona contro l’euro negli ultimi due mesi circa. Se questo fenomeno dovesse continuare, la Riksbank potrebbe trovarsi costretta a estendere il proprio programma di QE oltre il mese di giugno per evitare un effetto di raffreddamento dell’inflazione. Il programma attuale da 200 miliardi di SEK rappresenta circa il 30% del debito governativo in essere; per questo, secondo alcuni, un eventuale ampliamento del QE assumerebbe la forma di acquisti di obbligazioni societarie, sulla falsariga di quanto deciso di recente dalla Bce.
Islanda: in modalità contrazione, la prossima mossa sarà al rialzo
Per completare il quadro della regione scandinava parliamo dell’Islanda, che in qualche modo si distingue dagli altri Paesi. Mentre gran parte della regione ha dovuto combattere con l’assenza di inflazione, l’Islanda evidenzia pressioni inflazionistiche crescenti al suo interno, un tasso di deposito relativamente elevato e, di conseguenza, una banca centrale propensa ad aumentare i tassi. Sebbene la prossima mossa su tale fronte sarà probabilmente al rialzo, l’apprezzamento della corona islandese in concomitanza con la bassa inflazione globale potrebbe lasciare un certo margine alla banca centrale per innalzare i tassi d’interesse più lentamente di quanto ritenuto necessario in precedenza.
Si potrebbe essere tentati di dare per scontato che tutta l’Europa (se non tutto il mondo sviluppato) stia patendo la bassa inflazione e che tutte le banche centrali siano preoccupate per gli obiettivi di inflazione, ma la Scandinavia dimostra quanto sia in realtà variegata la situazione in termini di politica monetaria. Non è una questione che riguarda solo i Paesi del G7. Nonostante la vicinanza geografica, nella regione scandinava la politica delle banche centrali è incredibilmente varia, anche quando talvolta gli obiettivi perseguiti sono simili.

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