Svizzera, perché i tassi di interesse resteranno negativi

A cura di Ticino for Finance

La Bns ha il mandato di condurre la politica monetaria della Svizzera in quanto banca centrale indipendente. La Costituzione svizzera e lo statuto della Bns la obbligano ad agire in conformità con gli interessi del Paese nel suo insieme. Il suo obiettivo primario è quello di garantire la stabilità dei prezzi, tenendo conto anche degli attuali sviluppi economici.

Data la posizione geografica della Svizzera e l’importanza del commercio per l’economia elvetica, risulta chiaro che il tasso di cambio franco svizzero/euro è di fondamentale importanza per il Paese. Circa i due terzi del Prodotto Interno Lordo svizzero si basano sulle esportazioni e circa il 54% sulle importazioni. Uno sguardo più attento alle statistiche del Pil rivela che l’Unione Europea è di gran lunga il più importante partner commerciale. Circa il 45% delle esportazioni e il 63% delle importazioni si basano sul commercio con l’Ue (fonte: Ufficio Federale di Statistica).

Dopo l’introduzione dell’euro nel 2002, e fino a circa il 2010, il tasso di cambio tra il franco svizzero e l’euro ha oscillato entro un intervallo di circa 1,45–1,65 franchi per euro. Per l’industria svizzera delle esportazioni si è trattato di un tasso di cambio abbastanza stabile e prevedibile che le ha permesso di esportare beni e servizi altamente qualificati e specializzati a prezzi competitivi. Inoltre, ha permesso al commercio al dettaglio svizzero (e in particolare ai negozi al dettaglio nelle zone di confine) di rimanere competitivo nonostante il livello leggermente più elevato dei prezzi interni.

Alla fine del 2009 la situazione nei mercati dei cambi esteri ha iniziato a mutare. Dopo la crisi finanziaria, i tassi di crescita sono rimasti bassi in tutto il mondo, l’euro e il dollaro hanno iniziato a indebolirsi contro la maggior parte delle valute e il franco svizzero è tornato (come già più volte in passato) a essere un “rifugio sicuro” per gli investimenti esteri. Tra il gennaio 2010 e il settembre 2011, il franco svizzero si è rafforzato rispetto all’euro da circa 1,50 franchi per euro a circa 1,10 franchi per euro, cioè un apprezzamento di circa il 30%. Questo ha creato una notevole pressione sull’industria delle esportazioni, e le associazioni del commercio come pure i sindacati in Svizzera si sono fatti sentire a gran voce affinché la Bns adottasse delle misure per indebolire il franco. Allo stesso modo, il timore che un franco svizzero forte potesse creare tendenze deflazionistiche per l’economia svizzera veniva ampiamente discusso negli ambienti economici e nella stampa.

Durante questo periodo la Bns non fece alcuna dichiarazione pubblica in merito alla sua politica dei tassi di cambio, ma sulla base dei rapporti trimestrali della Bns divenne chiaro che in diversi periodi vi erano stati interventi di cambio esteri ad hoc. Infine, nel settembre 2011 la Bns ha deciso di modificare il proprio approccio. La mattina del 6 settembre 2011 la Direzione generale della Bns ha convocato una conferenza stampa in cui il suo Presidente ha annunciato che la banca centrale svizzera, “… con effetto immediato, non tollererà più un tasso di cambio franco svizzero/euro inferiore al tasso minimo di 1,20. La Bns applicherà questo tasso minimo con la massima determinazione ed è pronta ad acquistare valuta estera in quantità illimitata …”.

Nel giro di poche ore il tasso di cambio franco svizzero/euro si è stabilizzato intorno a 1,23 franchi per euro e per gli anni successivi il tasso di cambio è rimasto abbastanza stabile, rimanendo entro un intervallo di circa 1,20–1,24 franchi per euro. Ciò ha consentito all’industria svizzera delle esportazioni di anticipare con grande certezza i tassi di cambio franco svizzero/euro e le ha fornito una base stabile e prevedibile per gli investimenti e per le previsioni finanziarie. Dopo l’introduzione del piano sull’euro, all’inizio la Bns non ha dovuto intervenire molto. Le riserve valutarie ufficiali sono rimaste abbastanza stabili a un livello di circa 300 miliardi di franchi. All’inizio del 2012 tuttavia, la crisi dell’euro e le discussioni sulla situazione della Grecia (e di altri Paesi della zona euro) hanno costretto la Bns a intervenire su scala molto più ampia, e a metà del 2012 le riserve valutarie ufficiali sono rapidamente cresciute fino a circa 500 miliardi di franchi.

In mezzo a crescenti preoccupazioni in Svizzera per l’impatto del regime monetario della Bns, la situazione è cambiata il 26 luglio 2012, quando il Presidente della Bce ha notoriamente annunciato: “Nell’ambito del nostro mandato, la Bce è pronta a fare tutto il necessario per preservare l’euro. E credetemi, sarà sufficiente…”. Questa affermazione ha rapidamente calmato i mercati e inoltre ha avuto un effetto immediato sulla crescita delle riserve valutarie ufficiali della Bns: per i due anni successivi sono rimaste più o meno stabili.

Nella seconda metà del 2014 diversi eventi economici hanno aumentato la pressione sul franco e quindi sul tetto euro, costringendo la Bns a intervenire nuovamente sui mercati dei cambi. In primo luogo, l’euro si era indebolito rispetto al dollaro da circa 1,40 a 1,18 dollari per euro e, a causa del tasso di cambio minimo franco svizzero/euro, anche il franco si era indebolito rispetto al dollaro. In secondo luogo, erano riemerse le discussioni su una possibile “Grexit” che, insieme al declino economico della Russia e di altri Paesi, aveva nuovamente innescato la funzione di “rifugio sicuro” del franco svizzero. In terzo luogo, a partire dall’estate 2014 il Consiglio direttivo della Bce aveva adottato una serie di misure volte ad allentare ulteriormente la sua posizione di politica monetaria di fronte al calo dell’inflazione. Tali misure comprendevano la graduale riduzione, fino ad arrivare in territorio negativo, del tasso sui depositi, il tasso di riferimento per i mercati della zona euro. Dopo essere rimasto allo 0% dal luglio 2012, è stato ridotto a –0,1% nel giugno 2014, e poi a –0,2% nel settembre 2014. In quarto luogo, e probabilmente il più importante, la Bce aveva iniziato a discutere apertamente sulla possibilità di avviare, nel gennaio 2015, un programma di quantitative easing (Qe), che avrebbe abbassato i tassi di interesse sull’euro e aumentato la pressione al ribasso sull’euro e quindi la pressione al rialzo sul franco svizzero.

Alla luce di questi sviluppi, molti economisti e politici in Svizzera hanno iniziato a mettere in discussione gli interventi della Bns e il livello delle riserve valutarie ufficiali, che nel frattempo avevano raggiunto circa l’85% del Pil svizzero. La Bns ha tuttavia continuato a difendere pubblicamente la sua posizione e ha promesso di mantenere la sua politica monetaria e la sua strategia. Un’ulteriore misura è stata percepita come una sorpresa quando, a metà dicembre 2014, la Bns ha annunciato l’introduzione di un tasso d’interesse negativo di –0,25% sui depositi a vista, a partire dal 22 gennaio 2015 (data della successiva riunione della Bce).

All’inizio del gennaio 2015 la pressione al rialzo del franco svizzero è aumentata ancora di più. Solo nelle prime due settimane del gennaio 2015 la Bns ha dovuto intervenire pesantemente sui mercati valutari per mantenere il tetto, con la decisione del Qe della Bce ancora incombente. Infine, il 15 gennaio 2015, alle ore 10:30, la Bns in un comunicato stampa ha annunciato la soppressione del tasso di cambio minimo e la contemporanea riduzione dei tassi d’interesse sui depositi a vista a –0,75%. E una settimana dopo, il 22 gennaio 2015, il Consiglio direttivo della Bce ha annunciato che avrebbe ampliato i suoi acquisti di attivi per includere le obbligazioni emesse dai governi centrali della zona euro, dalle agenzie e dalle istituzioni europee fino a un importo di 60 miliardi di euro al mese.

Inizialmente l’introduzione di tassi d’interesse negativi da parte della Bns è stata percepita come temporanea. Cinque anni dopo, tuttavia, non solo i tassi d’interesse a breve termine in franchi svizzeri sono ancora a –0,75%, ma anche i tassi a lungo termine sono diventati negativi. Dal gennaio 2015 il tasso d’interesse a breve termine in franchi è rimasto costante a –0,75%. La Bns ha tuttavia continuato a intervenire sui mercati dei cambi esteri, come dimostra l’aumento delle riserve valutarie ufficiali a circa 840 miliardi di franchi entro settembre 2019 (circa il 120% del Pil svizzero). Uno dei motivi di questi interventi è stato il fatto che la Bce aveva continuato ad abbassare il tasso di interesse sui depositi a –0,3% nel dicembre 2015, a –0,4% nel marzo 2016 e infine a –0,5% nel settembre 2019. Come già detto in precedenza, la politica dei tassi d’interesse negativi, sia della Bns sia della Bce, ha costantemente suscitato sia il sostegno che le critiche dei commentatori, sin dalla sua introduzione. Se da un lato era ovvio che la situazione economica e fiscale era fuori dal comune, dall’altro lato non era chiaro come affrontare al meglio questi problemi inediti e risolverli in modo sostenibile.

Perché i tassi di interesse sono negativi e cosa significa? Una spiegazione economica Per comprendere la situazione attuale, è fondamentale distinguere tra vari tipi di tassi d’interesse: a breve termine, a lungo termine, nominali e reali.

Tassi d’interesse a breve e lungo termine

I tassi d’interesse a breve termine, per esempio il Libor a tre mesi, tendono a essere molto vicini al tasso d’interesse fissato dalla banca centrale. Per esempio, se le banche commerciali possono detenere depositi presso la Bns con un tasso d’interesse di –0,75%, esse si concederanno reciprocamente prestiti a un tasso analogo. Pertanto, il tasso di mercato interbancario è vicino al tasso della Bns. I tassi d’interesse a lungo termine, per esempio i rendimenti delle obbligazioni della Confederazione svizzera a 10 anni, sono invece determinati dai mercati, in particolare dalle aspettative di inflazione e dai tassi d’interesse futuri.

Tassi d’interesse nominali e reali

Il tasso d’interesse della Bns di –0,75% è un tasso d’interesse nominale. Analogamente, tutti i tassi d’interesse e i rendimenti sono di solito in termini nominali. Tuttavia, ciò che conta economicamente per i risparmiatori e gli investitori è il rendimento reale, dopo l’adeguamento all’inflazione. Per esempio, se il rendimento nominale è del 3% e l’inflazione è del 2%, il rendimento reale è del 3%–2%=1%.

Alla fine del 2019 l’inflazione in Svizzera era pari a circa lo 0,5%, per cui il tasso d’interesse reale a breve termine era pari a –0,75%–0,5%=–1,25%. È interessante notare che, mentre i tassi d’interesse nominali sono sempre stati positivi fino al 2015, in precedenza in Svizzera ci sono stati periodi di tassi d’interesse reali negativi. In Germania, negli ultimi decenni, i tassi d’interesse reali negativi sui depositi sono stati addirittura la norma e non l’eccezione.

Cosa determina il livello dei tassi d’interesse?

I tassi d’interesse reali a lungo termine sono determinati da variabili economiche fondamentali (risparmio e investimento). Quando il risparmio è elevato e/o l’investimento è debole, i tassi d’interesse reali diminuiscono in quanto l’offerta di fondi è sovrabbondante. Poiché i tassi d’interesse reali nei diversi Paesi tendono sempre più a muoversi insieme, ciò che conta davvero sono il risparmio globale e l’investimento globale. Negli ultimi quarant’anni, il risparmio globale è aumentato più dell’investimento globale, cosicché i tassi d’interesse reali globali sono gradualmente diminuiti. Ora in diversi Paesi sono vicini allo zero o addirittura negativi.

Le ragioni dell’aumento del risparmio e della relativa stagnazione dell’investimento sono molteplici. Per esempio, negli ultimi anni, la crescita e quindi l’investimento sono stati inferiori alle aspettative, l’aumento dell’incertezza economica ha stimolato il risparmio e i fattori demografici (l’invecchiamento della popolazione) hanno modificato e modificheranno i modelli di risparmio. I tassi d’interesse nominali a lungo termine sono determinati aggiungendo l’inflazione prevista ai tassi d’interesse reali. Quanto più alta è l’inflazione tasso Libor a 3 mesi attesa in un Paese, tanto più è probabile che i tassi d’interesse nominali siano positivi. Tuttavia, negli ultimi anni l’inflazione è diminuita in tutto il mondo. Inoltre, in Svizzera l’inflazione è stata tipicamente più bassa che nella maggior parte degli altri Paesi.

Pertanto, i tassi d’interesse nominali possono diventare più facilmente negativi, ed è per questo che negli ultimi anni sono stati per lo più negativi. Altri Paesi, come alcuni Paesi della zona euro con tassi un po’ più alti, solo di recente hanno visto i loro tassi nominali a lungo termine diventare negativi. I tassi d’interesse nominali a breve termine sono influenzati dalla banca centrale attraverso la sua politica monetaria e possono discostarsi dai tassi a lungo termine. Poiché l’obiettivo principale della banca centrale è controllare l’inflazione, i suoi tassi d’interesse a breve termine tendono a essere elevati quando l’inflazione è alta e bassi quando l’inflazione è bassa. Tuttavia, i tassi d’interesse a breve e a lungo termine non si discostano in modo permanente. Inoltre, i tassi brevi tendono a essere al di sotto dei tassi lunghi, cioè la pendenza della curva dei rendimenti di solito è positiva. Anche le banche centrali si preoccupano dei tassi di cambio.

Per esempio, la Bns non può fissare un tasso d’interesse molto più elevato rispetto a quello della Bce senza rischiare un significativo apprezzamento del tasso di cambio. In un contesto di bassi tassi d’interesse globali e di bassa inflazione, è ovvio che la Bns fissi un tasso d’interesse basso. Inoltre, il suo tasso d’interesse di solito è più basso di quello degli altri Paesi per due motivi. Primo: l’inflazione in Svizzera è più bassa, il che abbassa il tasso nominale. Mentre un’inflazione bassa è generalmente auspicabile, il suo svantaggio è che rende più probabile il raggiungimento di tassi d’interesse negativi. Secondo: la domanda di attivi in franchi svizzeri è stata molto forte sin dalla Crisi Finanziaria Globale del 2007–2008. Al tempo stesso, l’offerta di attivi sicuri in franchi svizzeri è stata ridotta in quanto nell’ultimo decennio il debito pubblico svizzero è diminuito. Questa forte domanda relativa porta a un apprezzamento del franco svizzero, che può essere compensato da un abbassamento del tasso d’interesse a breve termine e dall’acquisto di attivi in valuta estera.

In sintesi, i tassi d’interesse reali globali sono diminuiti negli ultimi anni a causa dell’aumento del risparmio globale e della debolezza degli investimenti. Anche l’inflazione è stata bassa, il che ha rafforzato il calo dei tassi d’interesse nominali.

Quali sono le implicazioni economiche dei tassi d’interesse negativi?

Attualmente in Svizzera abbiamo sia tassi negativi reali che tassi negativi nominali. Sebbene questa possa apparire solo come una sottile differenza nella terminologia, le sue implicazioni sono fondamentalmente diverse. Poiché gran parte del dibattito pubblico mescola i due aspetti, prima di entrare in ulteriori dettagli saranno chiariti per primi questi problemi. Non è insolito sperimentare tassi reali negativi o bassi, e le loro implicazioni sono relativamente note. In particolare, essi danneggiano i risparmiatori e beneficiano chi prende in prestito. Implicazioni più dettagliate saranno esaminate qui sotto.

I tassi nominali pari a zero o negativi sono molto rari e hanno ulteriori implicazioni. Il problema principale deriva dalla disponibilità di banconote, che hanno un tasso pari a zero. È facile, almeno per alcuni risparmiatori, detenere denaro contante al posto di altri attivi (per i quali dovrebbero pagare un tasso d’interesse negativo), per esempio affittando una cassetta di sicurezza. Questi “costi di detenzione della liquidità” spiegano perché il limite inferiore effettivo dei tassi d’interesse è inferiore a zero. In teoria esiste un limite inferiore effettivo (il cosiddetto Elb, limite inferiore effettivo) nella zona negativa, determinato dai costi di detenzione di contanti o di altri attivi altamente liquidi.

Questo ha almeno due implicazioni. In primo luogo, le banche commerciali sono riluttanti a fissare tassi d’interesse negativi sui loro depositi, poiché molti depositanti passerebbero alle banconote. Se le banche si trovano a fronteggiare tassi negativi sui loro attivi, ciò comprime il loro margine di interesse. In secondo luogo, le banche centrali non possono ridurre di molto il loro tasso d’interesse già negativo, la qual cosa limita la loro politica monetaria. Ciò è particolarmente problematico in caso di recessione, alla quale recessione la politica monetaria può difficilmente reagire. Il concetto di trappola della liquidità Da un punto di vista teorico, la situazione in cui i tassi di interesse nominali sono pari a zero o negativi e i risparmi sono elevati viene chiamata trappola della liquidità, un concetto sviluppato per la prima volta da John Maynard Keynes nella sua Teoria generale. In una tale trappola della liquidità, le banconote e i depositi a breve termine sono sostituti vicini di altri attivi e sono addirittura da preferire se i tassi d’interesse su questi attivi sono negativi. Le conseguenze principali sono due: le banche commerciali devono far fronte a una maggiore domanda di depositi a vista e la politica monetaria tradizionale diventa inefficace.

Uscire da una trappola della liquidità è una sfida. Possibili misure, per esempio, potrebbero essere l’aumento della spesa pubblica (che è una decisione politica), o l’aumento dei tassi d’interesse (che è una decisione della banca centrale). Inoltre, un significativo calo dei prezzi (cioè la deflazione) potrebbe indurre le persone a spendere i loro risparmi e ad approfittare dei prezzi bassi. Tutte queste misure comportano costi e benefici, che devono essere attentamente soppesati l’uno rispetto all’altro.

Vuoi ricevere le notizie di Bluerating direttamente nella tua Inbox? Iscriviti alla nostra newsletter!