Svolta Fed, come investire con la nuova politica sull’inflazione

“A inizio settembre il presidente della Fed Jerome Powell ha annunciato una variazione del regime della politica di contenimento dell’inflazione in vigore dagli anni Settanta. L’attenzione della Fed è ora incentrata sulle probabilità di instabilità del sistema finanziario, che rappresenta il principale vincolo per il nuovo regime monetario. Tale instabilità potrebbe manifestarsi sotto forma di bolle dei prezzi degli asset o di condizioni finanziarie eccessivamente rigide che a loro volta potrebbero innescare dei cicli di default sistemici data l’entità del debito alla base dell’economia globale”. E’ quanto sottolinea Norman Villamin, Cio Wealth Management di Union Bancaire Privée (Ubp). Di seguito le sue raccomandazioni.

Con l’economia statunitense che sta iniziando a riprendersi da quella che potrebbe rivelarsi la recessione più breve della storia degli Stati Uniti e con la disoccupazione ancora elevata rispetto alla media storica, questa svolta garantisce alla Fed la flessibilità necessaria per mantenere una politica monetaria e di tassi di interesse nel complesso favorevoli alla crescita. Anche qualora l’inflazione dovesse superare il target del 2% a metà 2021 per via dei base effect dello shock deflazionistico dovuto ai lockdown del 2020.

Tuttavia, preoccupa che i negoziati su un secondo e più modesto pacchetto di stimoli fiscali per le famiglie e le imprese statunitensi si siano arenati per via del dibattito circa la necessità di un approccio responsabile sul fronte fiscale dato il deficit di bilancio pari a circa il 15% del Pil creato per combattere la pandemia. Alla luce di deficit di bilancio elevati rispetto alla media storica e di un rapporto debito pubblico/Pil negli Usa già prossimo a un massimo del 130%, la riluttanza a continuare a perseguire disavanzi di bilancio più consistenti guardando in futuro è comprensibile. Anche se, in assenza di un tale stimolo fiscale, in assenza di risparmi interni e considerati i surplus delle partite correnti di che Giappone e Europa, gli Stati Uniti corrono il rischio di vivere anche il “decennio(i) perduto(i)” che gli alleati oltreoceano hanno vissuto nel recente passato.

Quindi, sia che ciò avvenga in modo proattivo, come sembra stia facendo l’Europa attualmente, o in modo reattivo a uno shock, ci aspettiamo che alla fine gli Stati Uniti attivino anche gli strumenti di politica fiscale. Idealmente, la politica fiscale statunitense sarà allineata proattivamente alla politica monetaria interventista della Fed. Tuttavia, come nelle fasi iniziali della Crisi finanziaria globale, vi è il rischio che uno shock economico obblighi il Congresso ad agire.

Una volta che le politiche fiscali saranno allineate con l’approccio “whatever it takes” della Fed in ambito monetario, gli investitori avranno l’opportunità di adeguare i portafogli a quello che verrà deciso dai policy-maker. In concreto, ci aspettiamo che gli interventi monetari e fiscali coordinati saranno incentrati sul regime di tassi di interesse negativi aggiustati per l’inflazione visto già negli anni 40. Siamo convinti che tale mossa aprirà una nuova fase ribassista per il dollaro, che ha iniziato a svalutarsi già nel 2020.

Tra i Paesi G3 è probabile un aumento del cambio euro/dollaro nel medio periodo, dovuto a valutazioni del dollaro ancora elevate, alle attese di tassi di interesse reali estremamente negativi negli Usa e al netto differenziale nelle partite correnti di Ue e Stati Uniti. L’euro dovrebbe poi beneficiare anche degli ampi stimoli fiscali previsti per il 2021 che permetteranno alla Bce di adottare un approccio più flessibile in caso di apprezzamento della moneta unica.

Quando le autorità fiscali adotteranno misure che incrementeranno la spesa, la Fed dovrà nuovamente riprendere l’espansione del proprio bilancio avviata a pieno ritmo in conseguenza dei lock-down all’inizio del 2020. Questo dovrebbe servire come un catalizzatore per una nuova fase rialzista dell’oro.

Asset allocation dopo la svolta della Fed

Un’attenta selezione creditizia e la volontà di guardare oltre periodiche impennate della volatilità dovrebbero consentire agli investitori nel credito in dollari, così come è successo per gli investitori nel credito in euro dal 2012, di garantirsi un rendimento in un periodo caratterizzato da tassi di interesse nominali ponderati per l’inflazione persistentemente bassi o negativi per minori rischi di credito. In particolare, vediamo opportunità per allontanarsi selettivamente dalla curva dei rendimenti e del credito Usa tramite titoli europei ibridi e asiatici investment grade e segmenti di titoli di Stato cinesi in valuta locale che offrono interessanti profili di rischio/rendimento agli investitori orientati al rendimento.

In ambito azionario il crollo del mercato ha innescato un restringimento del gap di valutazione tra l’azionario e il credito Usa. Pur prevedendo un indebolimento dei dati economici in attesa dell’effettiva introduzione di stimoli fiscali a inizio 2021, le probabilità di revisioni al ribasso degli utili per il 2020 dai livelli attuali appaiono limitate.

Nel frattempo, le valutazioni relative dovrebbero evidenziare un’ulteriore flessione del 5-10% prima di tornare in un range di valutazione relativa analogo a quello presente nelle fasi finali del ciclo di inasprimento della Fed del 2019. Si assiste quindi alla progressiva riapertura di una finestra per gli investitori interessati a partecipare alle opportunità legate alla trasformazione di lungo periodo dell’economia globale iniziata nel post pandemia. Se nel periodo immediatamente successivo alla crisi da Covid-19 tali opportunità si sono concentrate nella tecnologia e nelle soluzioni sanitarie, nei mesi a venire ci attendiamo che si estendano anche in ambiti quali FinTech, Green ed Esg alimentate dagli interventi delle autorità nell’ambito dei programmi di ripresa per il 2021. L’abbandono di un regime monetario in essere da molto tempo nel post pandemia comporterà certamente nuovi rischi per gli investitori nel prossimo futuro.

Data la riluttanza di numerosi investitori a trarre vantaggio dalle opportunità derivanti dall’evoluzione del contesto da marzo, riteniamo che la costituzione e il mantenimento di un elemento “risk off” nei portafogli sia essenziale per mantenere una prospettiva di medio/lungo periodo su questi temi in via di sviluppo. Strategie di opzioni attive e prodotti strutturati permettono agli investitori di rivedere i profili di rischio-rendimento deludenti, causati dell’incertezza che caratterizza il nuovo contesto, in favore di altri più allineati con obiettivi e propensione al rischio individuali.

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