Tassi negativi, conseguenze negative

di Christophe Donay, responsabile dell’asset allocation di Pictet Wealth Management

I primi due mesi dell’anno sono stati estremamente volatili per i mercati azionari. L’adozione di tassi d’interesse negativi da parte della Bank of Japan (BoJ) e della Banca centrale europea (BCE) ha avuto un ruolo essenziale nel determinare le turbolenze sui mercati, influendo negativamente sulla redditività delle banche, creando rischi per il ciclo creditizio e facendo riemergere i timori in merito alla deflazione. Un rimbalzo dei mercati duraturo richiederà importanti cambiamenti di politica economica.

I tassi d’interesse negativi fanno precipitare i mercati
Le cinque banche centrali (eurozona, Giappone, Danimarca, Svizzera e Svezia) che hanno abbassato i propri tassi d’interesse a breve termine portandoli in territorio negativo avevano intenzioni lodevoli: riflazionare le loro economie stimolando l’erogazione di prestiti da parte delle banche. Ma, come si dice, la strada per l’inferno è lastricata di buone intenzioni. L’adozione di tassi d’interesse negativi da parte della BoJ e della BCE ha prodotto risultati esattamente opposti.

I mercati azionari in Europa e Giappone hanno reagito bruscamente. In modo sorprendente, l’ondata di vendite sui mercati azionari ha raggiunto il suo culmine proprio quando i tassi d’interesse sono stati spinti decisamente in territorio negativo. Il punto di rottura per le azioni europee è stato il 3 dicembre 2015. Per le azioni giapponesi, il 29 gennaio 2016. Il crollo accelerato dei titoli finanziari coincide esattamente con queste due date.

Le banche centrali stanno perdendo incisività
Come temevamo, le politiche monetarie delle banche centrali sembrano divenire meno efficaci e persino produrre effetti opposti a quelli desiderati. Questo repentino cambiamento è dovuto in parte all’impatto dei tassi d’interesse negativi sulla redditività del settore bancario: il costo della detenzione della liquidità in eccesso presso la banca centrale intacca i profitti delle banche commerciali, prestare denaro a breve termine all’economia non è più redditizio e l’appiattimento della curva dei rendimenti erode i margini delle banche.

A ciò si aggiunge l’evidente insuccesso delle banche centrali nel fare risalire l’inflazione verso l’obiettivo del 2%, creando dubbi riguardo alla loro capacità di ravvivare la crescita economica. Il calo del prezzo del petrolio, e delle commodity in generale, ha accentuato i timori in merito alla deflazione.

L’impatto dei tassi d’interesse negativi potrebbe frenare il ciclo creditizio e persino provocarne una inversione. Le nostre aspettative di una crescita del PIL in termini reali del 2% negli Stati Uniti e dell’1,8% nell’eurozona quest’anno si basano sull’ipotesi di una continua accelerazione della concessione di prestiti da parte delle banche. Ma un rallentamento non può più essere escluso.

Che cosa serve per un rimbalzo non effimero?
Nelle ultime settimane, questi timori sono penetrati nei mercati finanziari, facendo loro assumere un atteggiamento di crisi. Va però anche detto che vi sono scarsi segnali che i fondamentali economici stiano volgendo al peggio. Cosa potrebbe fugare i timori dei mercati, incoraggiandoli a riadottare una visione più equilibrata dei fondamentali? Una qualche evidenza di almeno uno di questi tre ampi cambiamenti potrebbe dare il via a un rally sostenuto:

  • un ritorno duraturo del prezzo del petrolio intorno a 45/50 dollari per barile farebbe salire l’inflazione e diminuire i rischi di default per le imprese del settore dell’energia. Ma la produzione giornaliera dovrà scendere intorno a 1,5 milioni di barile per ritrovare un equilibrio tra l’offerta e la domanda, cosa che richiederà diversi mesi;
  • una inversione delle politiche monetarie da parte delle banche centrali delle economie sviluppate, compreso il ritorno in territorio positivo per i tassi d’interesse a breve termine della BCE e della BoJ. Questo cambiamento sembra però improbabile a breve termine;
  • un nuovo forte mix di politica economica, che includa una componente fiscale, per dissipare le pressioni deflazionistiche nel mondo sviluppato. Anche la cooperazione internazionale potrebbe aiutare. Ma un simile cambiamento non sembra imminente, e dalla riunione del G20 del 26/27 febbraio non è emerso nulla di rilevante.

In assenza di questi cambiamenti nei fondamentali, i rimbalzi dei mercati azionari rimangono possibili – come è avvenuto la scorsa settimana – ma probabilmente saranno deboli e di breve durata. I movimenti nel prezzo del petrolio, da parte delle banche centrali e da parte dei governi saranno monitorati attentamente. Le misure già annunciate dalla BCE e previste per marzo avranno una importanza cruciale. Molto difficilmente la BCE cambierà la sua rotta. Essa potrebbe abbassare ulteriormente i tassi d’interesse, portandoli al -0,5% entro giugno. Anche altre misure, come l’estensione degli acquisti di titoli, includendo ad esempio le obbligazioni societarie, potrebbero tuttavia contribuire a rassicurare i mercati, almeno temporaneamente.

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