Tornano i rischi (geo)politici

A cura di Edmond de Rothschild

La prima metà del 2018 rappresenta bene il dilemma che gli investitori si trovano ad affrontare dopo un 2017 eccezionale. Nonostante i solidi indicatori economici, l’inflazione sotto controllo e le politiche delle banche centrali ancora ampiamente accomodanti, la maggior parte dei mercati azionari e obbligazionari sono ora in territorio negativo rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. I rendimenti fortemente positivi sono stati rari e la volatilità è tornata.

Dopo il sospiro di sollievo per la vittoria di Emmanuel Macron nella primavera del 2017, i rischi politici sono tornati prepotentemente, riportando vecchie incertezze o creandone di nuove. La situazione probabilmente continuerà nei prossimi mesi per via delle elezioni in programma, potrebbe pertanto avere senso rimanere altamente vigili. Ciononostante, l’economia americana ha riaccelerato, l’economia cinese è ancora forte e c’è elevata visibilità sulla politica monetaria per la seconda metà dell’anno. Tutto questo giustifica il mantenimento di un outlook ottimistico.

Nuvole “politiche” all’orizzonte

La ripresa dell’economia globale ha proseguito il suo corso nella prima parte del 2018 ma in minor misura e a un ritmo meno sincronizzato. L’economia americana è stata la sola ad accelerare, grazie alla riforma fiscale approvata alla fine del 2017, mentre il Giappone e la maggior parte dei paesi europei hanno rallentato. Nella zona emergente, la Cina ha continuato la sua traiettoria di moderato rallentamento controllato, mentre una minoranza di paesi più fragili come Brasile, Turchia e Sudafrica hanno sofferto di significativi deflussi di capitali. La Fed ha ripreso la normalizzazione della sua politica economica aumentando di 25 punti base i tassi ogni trimestre. La BCE ha annunciato che bloccherà gli acquisti alla fine del 2018 senza far apprezzare l’euro in misura maggiore, ma al costo di fornire indicazioni forti sul fatto che l’attuale politica dei tassi di interesse rimarrà in vigore per più di un anno.

Ciononostante, il sentiment del mercato è notevolmente cambiato dal 2017 e i rendimenti azionari nei primi sei mesi di quest’anno hanno alternato rialzi e ribassi, con gli investitori che vedevano o il bicchiere mezzo pieno o il bicchiere mezzo vuoto. Il primo periodo di turbolenza tra la fine di gennaio e l’inizio di febbraio sembrava aver posto fine alle condizioni che avevamo segnalato sei mesi fa. Le notizie macro-economiche ottimistiche hanno provocato un aumento dei rendimenti obbligazionari, una diminuzione delle valutazioni e un aumento della volatilità. Ma lo stato d’animo sempre più incerto che regna da marzo è dovuto principalmente al rischio politico.

A nostro avviso, il conseguente rialzo del prezzo del dollaro è in parte dovuto alla crescente influenza dei “falchi” nell’amministrazione di Trump e all’uscita degli Stati Uniti dall’accordo sul nucleare con l’Iran. L’aumento del 50% dei prezzi nell’arco di 12 mesi1 costituisce un mini-shock petrolifero e quasi certamente ha contribuito al rallentamento dell’economia al di fuori degli Stati Uniti. Le elezioni parlamentari in Italia hanno dato vita a un governo di coalizione M5S/Lega senza precedenti, che ha dimostrato la forza dei movimenti populisti e la persistente fragilità delle fondamenta dell’Unione Europea. E poi Trump che ha deciso di concentrarsi sul protezionismo, risvegliando le paure di una guerra commerciale non solo con la Cina ma anche con i tradizionali alleati degli Stati Uniti.

Azioni: sostenute da risultati positivi

Di fronte al crescente rischio politico, l’ottimismo degli investitori è stato principalmente alimentato dagli ottimi risultati delle aziende. Le revisioni degli utili al rialzo hanno mantenuto forte il momentum anno su anno nella maggior parte dei mercati sviluppati (sebbene il Giappone abbia perso leggermente negli ultimi tre mesi. Il trend è particolarmente forte negli Stati Uniti e non solo per la riduzione delle tasse sulle società: le aspettative del mercato per le aziende dell’S&P500 sono di un aumento medio delle vendite nel 2018 del 10%2. Il miglioramento dell’Europa è probabilmente da attribuire al leggero calo del tasso di cambio effettivo dell’euro nel secondo trimestre. A livello settoriale, non sorprende che quello energetico sia al primo posto nei tassi di crescita stimati e nelle revisioni al rialzo, ma quest’anno i settori in generale sono in crescita. Solo alcuni settori difensivi (beni di prima necessità, telecomunicazioni e utility) e i finanziari hanno registrato revisioni al ribasso nel secondo trimestre. Da notare che i mercati emergenti hanno visto revisioni al ribasso degli utili, essenzialmente a causa dei paesi con una forte svalutazione delle valute che hanno inasprito la politica monetaria nel tentativo di invertire la tendenza.

E’ necessario essere consapevoli delle attuali supposizioni ottimistiche, soprattutto alla luce della stagione estiva delle trimestrali, poiché a giugno, a seguito delle crescenti minacce di una guerra commerciale, le aziende hanno iniziato a rilasciare dichiarazioni prudenti e persino profit warning. La maggior parte dei mercati nel primo semestre ha registrato rendimenti misti, mentre gli utili sono cresciuti ulteriormente, contribuendo così al calo dei multipli e dissipando quella che era una delle nostre preoccupazioni già da gennaio. La nostra analisi del posizionamento degli investitori ci ha inoltre pensare che l’ottimismo sul mercato azionario sia diminuito drasticamente. L’approccio al momentum, ad esempio sovrappesando le azioni sovraperformanti, che nel 2017 aveva prodotto ottimi risultati di stock picking, non ha funzionato completamente nel 2018 come linea guida per l’esposizione al mercato azionario.

Di conseguenza, la nostra differenziazione geografica sta diventando meno marcata. Rimaniamo cauti nei confronti delle azioni dei paesi emergenti a causa di casi di fragilità esterna come Turchia, Argentina, Brasile e Sud Africa, dove le condizioni finanziarie e monetarie sono peggiorate, ma anche a causa delle tensioni degli Stati Uniti con la Cina che sembrano essere funzionali alla crescita del protezionismo. Tuttavia, abbiamo ridotto la nostra preferenza alle azioni europee piuttosto che a quelle americane. La fragilità dei governi di Regno Unito, Germania, Spagna e Italia e la strumentalizzazione politica della crisi dei migranti ha evidenziato gli aspetti deboli della costruzione dell’Unione Europea, frenato i timidi sforzi per procedere e complicato i colloqui su un accordo post-Brexit. E sebbene la BCE sia riuscita a comunicare l’uscita dal quantitative easing, le prospettive sugli utili del settore bancario saranno influenzate dalle sua decisione di prorogare i tassi passivi negativi per altri 5 trimestri. Negli Stati Uniti, preferiamo la tecnologia (nella sua definizione di revisione del settore dopo settembre 2018) in quanto beneficerà di una forte ripresa degli investimenti. Ci piacciono anche i settori finanziario ed energetico per la loro crescita dei profitti e per le loro valutazioni ragionevoli.

Ancora selettivi sulle obbligazioni

Come ci aspettavamo, i rendimenti lunghi sono aumentati all’inizio del 2018, ma solo brevemente per i titoli tedeschi, che poi sono saliti ai livelli dell’autunno scorso. Anche la tendenza al rialzo dei rendimenti negli Stati Uniti è leggermente diminuita alla fine del primo semestre, a causa dell’aumento dell’avversione al rischio. Questo differenziale storicamente elevato tra Bund e Tesoro è dovuto al notevole sfasamento tra il ciclo di politica monetaria della BCE e quello della Fed e, in ogni caso, è completamente vanificato dal costo della copertura valutaria. La situazione degli investitori europei in obbligazioni societarie è stata meno favorevole. Le vendite da parte di investitori nervosi nel periodo precedente alla fine dell’allentamento quantitativo della BCE, programma che include anche le obbligazioni societarie, hanno determinato un aumento dei differenziali rispetto ai livelli molto ristretti di fine 2017, anche se i fondamentali sono rimasti forti. E gli spread si sono ulteriormente inaspriti per le emissioni dei paesi emergenti in valuta forte con il rafforzamento del dollaro.

Continuiamo a credere che il rischio di tasso d’interesse nei paesi della zona euro centrale offra pochi vantaggi e che gli investitori debbano essere chiari. Anche se la BCE ha deciso di procedere con molta cautela verso la normalizzazione monetaria, il processo è iniziato e si rafforzerà nella seconda metà dell’anno. I tassi d’interesse reali e il premio a termine non riflettono, a nostro avviso, una banca centrale che sembra sempre più pronta ad rimanere dietro alla curva. I mercati del credito sembrano ora meno cari, quindi siamo un po’ più ottimisti sugli spread assets fino alla fine dell’anno e ci concentriamo sui segmenti che hanno perso più terreno nel primo semestre nonostante i loro buoni fondamentali.

Infine, dati i bassi livelli di carry, almeno per gli investitori europei, continuiamo a preferire le azioni alle obbligazioni e rimaniamo fedeli alla nostra gestione tattica e contrarian delle esposizioni.

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