Tregua Usa-Cina, le buone notizie rimarranno tali?

Un nuovo “cessate il fuoco”. Questo – sottolinea nel suo commento Olivier de Berranger, Chief Investment Officer di La Financière de l’Echiquier – è il messaggio che emerge dall’incontro cruciale, a margine del G20, tra Xi Jinping e Donald Trump. Anche se la scorsa settimana il Presidente americano aveva continuato a ribadire le sue minacce e tutti quanti si aspettavano che la controparte cinese avanzasse richieste drastiche, entrambi hanno dimostrato di voler fare un passo in direzione dell’altro. Alla richiesta di sospensione unilaterale dei dazi punitivi formulata da Xi Jinping Trump ha risposto impegnandosi, per il momento, a non aggiungerne altri. Il leader cinese aveva inoltre chiesto la sospensione di tutte le restrizioni riguardanti Huawei, compresa la possibilità per il gruppo tecnologico cinese di acquistare prodotti americani. Donald Trump ha accolto la domanda rimanendo tuttavia sul vago e dichiarando che Huawei sarà autorizzata ad acquistare prodotti “che non mettono a rischio la sicurezza nazionale”. Una mera questione di interpretazione. Infine, Xi Jinping sembra aver rinunciato alla richiesta di porre fine all’obbligo di acquistare sempre più prodotti americani mentre Donald Trump ribadiva che la Cina avrebbe iniziato a spendere “importi considerevoli per prodotti agricoli”. Un compromesso minimo che consente di riavviare le discussioni senza tuttavia affrontare alcune questioni sostanziali come il trasferimento tecnologico o la proprietà intellettuale.

L’esperto evidenzia che questo scenario, positivo nel breve termine per i mercati, potrebbe tuttavia sortire un risultato più ambivalente nel lungo periodo. Il rialzo messo a segno all’inizio dell’anno è dovuto perlopiù alla svolta molto accomodante delle banche centrali, giustificata da dati macroeconomici fragili e dal rischio connesso alle tensioni commerciali. Un cambio di marcia cui i mercati hanno pienamente aderito, anticipando addirittura fino a tre tagli dei tassi da parte della Fed entro la fine dell’anno. Una tregua nel conflitto commerciale toglierebbe però alle banche centrali un’importante giustificazione al loro cambio di rotta. La situazione, unita a una stabilizzazione oltre che a un leggero miglioramento dei dati macroeconomici, potrebbe indurre i governatori centrali a reagire in modo significativamente diverso rispetto alle aspettative del mercato. L’ultimo trimestre del 2018 è un esempio recente delle conseguenze sui mercati di una delusione in materia di politica monetaria.

L’esito dell’incontro Xi/Trump non dovrebbe probabilmente impedire alla Fed di ridurre i tassi almeno una volta nel corso della riunione di luglio – tanto più che i dati che emergono dalle indagini regionali sul settore manifatturiero non si rivelano affatto brillanti. Ma la banca centrale americana non potrebbe spingersi oltre. Saranno decisivi il tono dei negoziati tra rappresentanti cinesi e americani nonché le prossime pubblicazioni economiche, oltre all’atteggiamento di Donald Trump nei confronti della Fed. Dopo averla criticata in modo virulento ed essersela presa direttamente con Jerome Powell, il Presidente americano costringe l’istituzione in una posizione delicata. Un taglio drastico dei tassi, chiesto a suon di tweet da Donald Trump, potrebbe infatti sollevare alcuni dubbi sull’indipendenza della banca centrale dalla sfera politica. E mentre le tensioni commerciali sembrano placarsi per un attimo, un leggero miglioramento dei dati economici fornirebbe alla Fed il pretesto ideale per non ridurre i tassi al di là di una mossa puramente cosmetica che le permetterebbe di riaffermare la sua indipendenza dalla Casa Bianca. I mercati – conclude Olivier de Berranger – sarebbero quindi costretti a operare una revisione significativa, e non agevole, delle loro aspettative, trasformando così una presunta buona notizia derivante dalla ripresa delle discussioni tra Cina e Stati Uniti in una cattiva notizia.

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