Trumped…again

Dopo una seduta partita tranquilla ieri, con i mercati ancora intenti a digerire la delusione generata dalle parole della FED, la giornata si è vivacizza, forse fin troppo, nel pomeriggio quando Trump dà una ennesima prova di impazienza di fronte agli scarsi progressi nei colloqui sul commercio con la Cina annunciando l’imposizione di ulteriori dazi del 10% (ma che potrebbero rapidamente salire al 25%) su altri 300 mld di dollari di importazioni del Dragone a partire dal 1° settembre.

Questa volta i dazi vanno a colpire beni di largo consumo provocando una immediata levata di scudi dalle assoziazioni commerciali americane alla vigilia della ripresa della stagione scolastica e con la Cina che produce ormai il 42% dell’abbigliamento ed il 69% delle calzature acquistate negli States.

Ma non c’è solo la Cina alla base della decisione di Trump: c’è anche una mal celata (anzi, per nulla celata) insoddisfazione per la reticenza di Powell nel provvedere a quegli stimoli necessari ad un ulteriore allungo della crescita americana, possibilmente condito da un indebolimento del dollaro che proprio post FED come indice si è portato ieri ai massimi di un triennio.

Così, se non basta il deludente dato relativo all’ISM manifatturiero ieri (certo già consociuto dalla FED) che si attesta sui minimi dall’agosto 2016 (ed ormai a ridosso della soglia che separa espansione da contrazione) rafforzato da una contrazione superiore alle attese nelle spese in costruzioni a giugno (-1,3% contro un atteso -0,4%) alla vigilia del sempre importante dato odierno legato al mercato del lavoro, per dare il giusto impulso ai decisori di politica economica perché non alzare la posta con una bella escalation dell’attuale conflitto commerciale, tentativo decisamente riuscito dato che le prime e sommarie reazioni da parte di Pechino sono tutt’altro che morbide.

La reazione dei mercati è tanto rapida quanto brutale

Con i mercati azionari statunitensi che passano immediatamente dai timidi progressi della mattinata ad un netto territorio negativo, per quanto la flessione sia tutto sommato contenuta alla luce della portata dell’evento, probabilmente contenuta dal consueto doppio-pesismo del tanto peggio tanto meglio in prospettiva delle decisioni della FED su tassi e stimoli monetari. Decisamente più significaticvaa la reazione dei preziosi, con l’oro che si porta fino a 1.460 dollari per oncia ma in solitaria, con l’argento solo leggermente rialzista, platino in flessione di 22$/oncia ed il palladio che letteralmente crolla di 100 dollari per oncia prima di chiudere la sessione con una comunque robusta flessione nell’ordine del 6%.

Altro mercato finito ieri letteralmente sotto il rullo compressore dei dazi incrociati il petrolio con il WTI che va a cedere quasi l’8% mettendo a segno il calo giornaliero più ampio dall’ormai lontano febbraio 2015, mentre i rendimenti sui decennali amerciani si portano sotto quota 2% per la prima volta in due anni con un minimo intragiornaliero a 1,878% che conferma come il mercato ritenga che quanto occorso sia a questo punto sufficiente ad indurre Powell ad un ripensamento della strategia enunciata solo mercoledì.

Tra i metalli non ferrosi le reazioni più negative si evidenziano sul rame, questa mattina a ridosso di quota 5.800 dollari, e piombo in area 1.970 e già in predicato di debolezza da qualche giornata dopo l’incremnto delle scorte LME che in settimana sono significativamente aumentate capitalizzando un rialzo del 42,4% rispetto ai minimi decennali fatti segnare il 26 luglio. Più stabile il nickel che riesce a mantenere quota 14.000 dollari con un certo margine di sicurezza, mentre lo stagno dopo qualche tentativo di reazione nelle giornate passate torna a rivedere i minimi triennali in area 17.200 dollari.

A cura di Wings Partners Sim

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