Un fattore spesso dimenticato

A cura di Stefano Simionato, ALFA Consulenza Finanziaria
La disponibilità di risorse, la capacità di attrarre investimenti, l’efficienza del sistema politico-giudiziario, l’incremento della produttività… sono davvero molti i fattori che possono contribuire, in modo più o meno diretto, alla crescita di un’economia. Tra questi, un «ingrediente» sicuramente fondamentale, sebbene spesso dimenticato, è la struttura stessa della società. I fattori demografici sono infatti decisivi nel determinare le potenzialità di lungo termine di una nazione.
La tabella seguente, che riporta un dettaglio della quota di giovani in ciascuno degli ultimi sei decenni per le principali aree economiche mondiali, evidenzia in modo piuttosto significativo questo concetto: i tassi di crescita del PIL sono andati decrescendo in parallelo con l’invecchiamento della popolazione.

Particolarmente emblematico il caso del Giappone, che cresceva a ritmi molto elevati nei periodi durante i quali la sua società era tra le più giovani al mondo, salvo poi frenare in maniera vistosa negli ultimi anni, in parallelo con un invecchiamento record della sua popolazione. Quello demografico, naturalmente, è solo uno dei fattori che hanno contribuito alla crisi giapponese; è però un elemento che ha avuto e ha con ogni probabilità un peso significativo.
Le stesse migliori performance economiche degli Stati Uniti negli ultimi anni possono essere spiegate almeno in parte anche con la presenza di una società relativamente più giovane.
La correlazione tra tassi di crescita di lungo periodo e struttura delle società è forte anche guardando più da vicino i dati relativi ai singoli paesi. Per decenni, l’economia italiana ha rallentato il suo ritmo di crescita in parallelo con il graduale sorpasso degli over 65 sugli under 20. E rimanendo in Europa, un paese come l’Irlanda è cresciuto più della media continentale almeno in parte anche grazie a una popolazione mediamente più giovane, che porta con sé effetti collaterali positivi in termini ad esempio di fiducia dei consumatori, maggiore offerta di lavoro e più efficiente gestione della spesa pubblica e dei sistemi pensionistici.

Arrivati a questo punto, diventa interessante osservare le attuali strutture demografiche delle maggiori economie mondiali. Questi dati potrebbero infatti «nascondere» informazioni interessanti sulle potenzialità future di ciascun paese. La tabella in basso evidenzia che il Giappone rimane di gran lunga l’economia più anziana del mondo, con quote elevate e ancora crescenti di over 65. Pur di fronte a un paese che si è storicamente sempre dimostrato molto resiliente, è quindi comunque difficile immaginare un nuovo boom in stile anni ’60 per l’economia nipponica.
La situazione europea è solo leggermente migliore e il soprannome Vecchio Continente in questo caso è più che mai calzante. Tra i singoli paesi si nota una situazione più equilibrata in Francia e UK (probabilmente a causa dei maggiori flussi migratori storici) rispetto a Italia e Germania. Questi ultimi due paesi rimangono i più vecchi dopo il Giappone e va letta soprattutto in quest’ottica la politica – ora attenuata – del governo tedesco di favorire negli ultimi anni l’afflusso di migranti.
Infine, mentre i paesi del Nord America si confermano relativamente più giovani e, anche per questo motivo, verosimilmente destinati a crescere ancora più delle altre economie occidentali, un discorso a parte va fatto per i paesi emergenti. India e Brasile infatti hanno, almeno sotto questo aspetto, tutte le credenziali per colmare gradualmente il gap con i maggiori paesi occidentali. La Cina, al contrario, inizia a pagare gli effetti della «politica del figlio unico» e in futuro potrebbe vedere proprio nei fattori demografici un elemento di rallentamento o di crisi dopo anni di crescita sostenuta. Per finire, considerando che la vita media si allungherà ulteriormente, questi dati evidenziano la forte necessità – soprattutto per i paesi occidentali – di favorire politiche per riequilibrio delle strutture demografiche. In Italia, dove da anni la spesa per giovani e famiglie è una frazione di quella destinata ad esempio alle pensioni, non sembra si stia facendo molto in tal senso.

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