Un mercato in continua evoluzione. L’outlook per il 2020 di Franklin Templeton

Molti investitori si attendevano un 2019 volatile. Con il trascorrere dei mesi, i timori di recessione sono aumentati a fronte dei continui rinvii della Brexit, della guerracommerciale fra Stati Uniti e Cina e di altre situazioni critiche a livello mondiale. Tuttavia, i dati economici sono rimasti nel complesso robusti e i mercati azionari globali hanno guadagnato terreno e a fine anno l’azionario USA segna un nuovo massimo storico.

Nonostante le persistenti incertezze, gli analisti di Franklin Templeton hanno una prospettiva cauta­mente ottimista per il 2020. La minaccia di una recessione globale è remota e vi sono buoni motivi per mantenere gli investimenti. Tuttavia, in un mercato in continua evoluzione è importante essere selettivi e non essere troppo sicuri di se.

Nel dettaglio, secondo Franklin Templeton sarà cruciale:

  • Concentrarsi sui dati reali più che sulle notizie del momento. Vi sono pochi segnali di una recessione imminente dell’economia mondiale. Nonostante la persistente incertezza in ambito commerciale e le tensioni sul fronte politico, la prima economia mondiale, gli Stati Uniti, si conferma solida. Tra i fattori di rischio che caratterizzeranno anche il 2020 c’è la guerra dei dazi, la decelerazione dell’attività manifatturiera, il calo della fiducia delle imprese e le crescenti tensioni politiche con conseguente polarizzazione.
  • Il prossimo anno potrebbe riservare ancora incertezza, ma anche ottime opportunità. “Riteniamo che gli investitori debbano prepararsi per affrontare il 2020 concentrandosi su posizioni in grado di offrire un’autentica diversificazione rispetto a rischi fortemente correlati comuni a più asset class“.
  • Benché molti investitori siano ancora preoccupati, ci sono buoni motivi per mantenere l’esposizione all’azionario globale nel 2020. “Per i nostri portafogli cerchiamo società orientate all’innovazione nei vari settori, oltre a opportunità in titoli value trascurati dal mercato”.
  • Le nostre previsioni sull’insieme dei mercati emergenti sono prudenti, ma manteniamo un certo ottimismo e intravediamo tuttora delle opportunità in alcuni Paesi e in determinate fonti di alpha. Crediamo nell’importanza di un posizionamento selettivo in quanto gli investitori sono ancora preoccupati per il protezionismo e il dete­rioramento del quadro geopolitico”.

Opportunità e prudenza in un contesto incerto

In tutto il mondo gli investitori devono fare i conti con condizioni economiche, poli­tiche e del mercato finanziario eccezionali, che rischiano di far precipitare il mondo in una spirale pericolosa. Monitoriamo con particolare attenzione le principali fonti di preoccupazione, tra cui: (1) l’aumento dei rischi geopolitici e delle tensioni sul fronte commerciale, (2) la diffusione del popu­lismo e della polarizzazione in ambito politico, (3) la spesa in disavanzo incon­trollata dei Paesi sviluppati, (4) le pressioni inflazionistiche sottovalutate negli Stati Uniti e (5) i bassi tassi di riferi­mento che inducono a investire in asset più rischiosi con conseguente surriscalda­mento di molte aree del mercato. Il prossimo anno potrebbe dunque presen­tare delle incognite, ma anche delle ottime opportunità di investimento. Riteniamo che gli investitori debbano prepararsi per affrontare il 2020 concen­trandosi su posizioni in grado di offrire un’autentica diversificazione rispetto a rischi fortemente correlati comuni a più asset class.

Le tensioni geopolitiche e le politiche non ortodosse conti­nuano a destare preoccupazione

È attualmente in corso un acceso dibat­tito su quali modelli economici e politici prevarranno in futuro: dal capitalismo al socialismo, e dalla democrazia all’autori­tarismo. L’evoluzione degli equilibri tra le maggiori potenze mondiali aumenta le probabilità di un evento geopolitico in qualsivoglia ambito, da quello commer­ciale a quello militare, che sconvolgerebbe i mercati finanziari. La recente escalation delle tensioni in Medio Oriente e il braccio di ferro tra Stati Uniti e Cina sono due esempi calzanti. La storia insegna che spesso i cambiamenti del potere egemonico generano grande instabilità sui mercati finanziari, motivo per cui meritano attenzione.

Inoltre, il proliferare dei governi populisti e la tendenza globale a una polarizzazione estrema hanno alimentato la volatilità delle politiche economiche e consentito la stesura di programmi economici sregolati. Negli Stati Uniti, la popolazione è molto più divisa che nel recente passato e la distanza fra i partiti è sempre più marcata. Sempre più spesso i piani economici sono giustificati da teorie economiche non verificate, come la Teoria della Moneta Moderna (Modern Monetary Theory), che prevede di stampare denaro per finanziare l’espansione fiscale.

Con l’ascesa del populismo, nei Paesi sviluppati sono aumentati i livelli di indebitamento e quindi i rischi fiscali. Il netto incremento della spesa in disa­vanzo negli Stati Uniti ha fatto salire il deficit fiscale a una media annua di USD 1.200 miliardi per i prossimi 10 anni (il 4,7% del PIL)1, una situa­zione che richiede massicce emissioni di Treasury per finanziare il debito. Analogamente, in Europa i partiti nazio­nalisti hanno intaccato le fondamenta dell’Eurozona, mettendo alla prova la coesione politica necessaria sia per mantenere una disciplina fiscale sia per salvaguardare l’integrità dell’Unione in caso di crisi future.

Politiche monetarie estrema­mente espansive continuano a distorcere i prezzi degli asset

Sul fronte monetario, solo un anno fa la Federal Reserve statunitense (Fed) e la Banca Centrale Europea (BCE) cercavano modi per normalizzare le rispettive poli­tiche. Tuttavia nel 2019 entrambe le autorità sono tornate a un orientamento più accomodante. Tale linea morbida in assenza di una crisi reale induce gli inve­stitori a puntare su asset rischiosi e meno liquidi. I mercati abbondano di obbliga­zioni con rendimenti negativi (per un volume di USD 14.000 miliardi2), titoli strutturati in modo tale da rendere meno di zero. Politiche un tempo considerate assolutamente non ortodosse sono diven­tate la norma, dato che le economie dipendono sempre più dalle banche centrali per ovviare alle carenze delle poli­tiche fiscali ed economiche.

Le politiche monetarie molto accomo­danti e la maggiore regolamentazione del settore bancario hanno aumentato il rischio di credito legato al sistema bancario ombra. Negli ultimi dieci anni i mercati del credito USA hanno

evidenziato una crescita robusta in segmenti meno trasparenti, cioè emis­sioni private caratterizzate da informative finanziarie carenti e condi­zioni di debito meno rigorose. Dopo anni di denaro a basso costo la disciplina sui mercati è diminuita a favore dei debi­tori, con conseguente riduzione della capacità dei creditori di pretendere informative finanziarie adeguate e condi­zioni più stringenti. La situazione può reggere finché sui mercati creditizi regnerà l’ottimismo, ma non appena le condizioni del credito inizieranno a cambiare, i costi della liquidità saliranno alle stelle. Siamo tuttora consapevoli dei rischi di credito e di liquidità che carat­terizzano il reddito fisso alla vigilia del nuovo anno e riteniamo che gli investi­tori debbano prepararsi adeguatamente.

Principali rischi dei mercati finanziari

La possibilità di un evento geopolitico è più alta ora che negli ultimi decenni, date le continue frizioni tra le superpo­tenze mondiali. Inoltre, populismo e polarizzazione politica influiscono sulle decisioni delle autorità determinando un ampio rischio di errore. L’ingente spesa in deficit dei Paesi avanzati ha esaurito gran parte delle risorse a disposizione in caso di futuri shock finanziari o econo­mici. E il massiccio ricorso a stimoli monetari per rimediare alla minima battuta d’arresto dell’economia ha ridotto l’efficacia degli strumenti mone­tari nell’eventualità di un’effettiva crisi. Riassumendo, i Paesi sviluppati potreb­bero aver esagerato con gli interventi sul fronte fiscale e monetario, esponendo gli asset rischiosi a possibili eventi negativi sui mercati finanziari. Alla luce di tali rischi, intravediamo valore in determinati asset percepiti come beni rifugio, fra cui spiccano yen giapponese, corona norvegese e corona svedese.

Treasury USA a lungo termine ancora sopravvalutati

I rendimenti contenuti dei Treasury USA ci sembrano estremamente vulnerabili a un possibile shock dei tassi, dati la maggiore spesa in disavanzo e il crescente indebitamento. Crediamo inoltre che i mercati sottovalutino di gran lunga i rischi inflazionistici alla luce dell’eccezionale solidità del mercato del lavoro USA legata alle restrizioni sull’immigrazione e alle inter­ruzioni della filiera. Esiste altresì la possibilità che la Fed non riesca a soddisfare le elevate attese in termini di allentamento monetario già scontate lungo la curva dei rendimenti dei Treasury. In caso di rialzo dell’inflazione i mercati dovrebbero fare i conti con una linea monetaria meno espansiva del previsto. La Fed è in grado di controllare efficacemente i tassi a breve, ma non altrettanto le pressioni economiche e tecniche sul tratto a lunga scadenza della curva. Per i prossimi trimestri ci attendiamo una maggiore inclinazione della curva dei rendimenti dei Treasury USA in ragione di un aumento dei tassi a lungo termine. A nostro avviso gli investitori dovrebbero valutare una diversificazione rispetto al rischio di tasso delle varie asset class.

Ancora valore su selezionati mercati emergenti

Siamo più cauti sulle previsioni per l’in­sieme dei mercati emergenti, ma intravediamo un certo potenziale in determinati Paesi e in alcune fonti di alpha. Preferiamo tuttora i rendimenti corretti per il rischio in specifiche aree del debito sovrano in valuta locale rispetto ai titoli di credito valutati adeguatamente. Ma è fondamentale selezionare attentamente gli investi­menti, poiché simili opportunità variano nettamente da un Paese all’altro e in termini di esposizione al rischio. Nel complesso, ci sembra che il prossimo anno determinati mercati locali che offrono rendimenti elevati abbiano la possibilità di sovraperformare i mercati core del reddito fisso.

Il poco amato mercato toro potrebbe proseguire anche nel 2020

Per gran parte del 2019 gli investitori hanno temuto la fine della fase rialzista sui mercati azionari globali. Nel corso dell’anno i depositi sui mercati monetari hanno raggiunto livelli record. Invece il clima di ottimismo è rimasto pressoché intatto, nonostante ingenti disinvesti­menti dalle piazze azionarie alla luce di previsioni economiche scoraggianti e questioni politiche irrisolte. Anche se molti investitori sono tuttora preoccu­pati, riteniamo vi siano ragioni sufficienti per mantenere gli investi­menti nell’azionario globale nel 2020.

Scarse probabilità di recessione nel 2020

Tanto per cominciare, l’economia mondiale si conferma nel complesso solida. Le avvisaglie di una recessione globale sono minime. La durata eccezio­nale della fase rialzista del ciclo economico non basta da sola a determi­nare un’eventuale contrazione. Nell’autunno del 2019 i dati economici hanno evidenziato una flessione del settore manifatturiero legata in parte al conflitto sul fronte commerciale. Tuttavia, l’economia globale è ora molto più orien­tata ai servizi che alla produzione, persino nei Paesi emergenti, ed è pertanto più stabile. Quindi anche se il settore manifatturiero attraversa chiaramente una fase critica, i consumi (soprattutto negli Stati Uniti) hanno dato prova di elevata resilienza. Ecco perché riteniamo che l’economia USA, nonostante la decelera­zione, non rischi una recessione, mentre la Cina rallenta e l’area euro continua ad avanzare seppure a piccoli passi. Riassumendo: la crescita è più modesta, ma non siamo in prossimità di una fase recessiva.

Vi sono sicuramente alcuni rischi legati a politiche populiste e all’elevato indebi­tamento delle imprese. Tuttavia, in termini generali, i tassi di interesse sono bassi e l’inflazione non accenna ad aumentare; inoltre nel 2019 diverse grandi banche centrali hanno adottato misure a sostegno della crescita nel prossimo anno e interverranno ancora ai primi segnai di recessione.

Il livello contenuto dei tassi di interesse è un elemento determinante per la buona performance degli asset rischiosi come le azioni. Crediamo che la prospettiva di tassi stabili o ancora più bassi nel 2020 possa creare un contesto favorevole per le piazze azio­narie. Un ulteriore calo dei tassi di interesse indurrebbe gli investitori a cercare rendimenti su altri mercati, e in questo senso le azioni rappresentano una della alternative più allettanti. Verso la fine del 2019, l’azionario globale misurato dall’MSCI All Country World Index offriva un dividend yield del 2,5%3, che risulta interessante a fronte degli interessi negativi di gran parte del debito mondiale. Secondo il Rapporto sulla stabilità finanziaria globale del Fondo Monetario Internazionale (FMI) di ottobre 2019, oltre il 30% dei titoli di debito delle economie avanzate offre tassi di interesse negativi, mentre la metà circa presenta tassi compresi fra l’1% e il 2%. Ecco perché il rendimento del 2,5% delle azioni globali appare così allettante. Nel lungo periodo, un rapporto utili/prezzo (l’opposto del rapporto prezzo/utili [P/E]) del 5,3% risulta ancora più interessante.

In base alle nostre analisi le valutazioni dell’azionario globale sono ragionevoli. A fine 2019, i principali mercati azionari mondiali scambiavano a livelli inferiori ai P/E prospettici medi di lungo periodo. Fanno eccezione solo gli Stati Uniti, che scambiavano con un premio modesto.

Un approccio attivo all’investimento nell’innovazione e nei titoli value

Preferiamo cercare determinate oppor­tunità in società votate all’innovazione nei rispettivi settori e in titoli value poco considerati.

Di norma le aziende innovative generano una ricchezza in grado di aumentare la produttività e offrire agli investitori un ottimo potenziale di performance nel lungo periodo. Oltre a evidenziare un’ac­celerazione che schiude innumerevoli possibilità di investimento, l’innovazione interessa sempre più settori, dalla sanità all’industria, dalla finanza ai beni di consumo. Tuttavia, per trarre effetti­vamente vantaggio da tale trend occorre un’attenta analisi fondamentale in base alla quale decidere se conviene investire in tali innovazioni oggi o in un lontano futuro o se è meglio non investirvi affatto, ed evitare le società che potreb­bero soccombere. I titoli value sono trascurati da circa dieci anni, poiché in un contesto di crescita modesta, innovazione tecnologica, rivolu­zioni, scarse pressioni inflazionistiche e bassi tassi di interesse gli investitori hanno preferito puntare sui titoli growth. I titoli value hanno sottoperformato quelli growth essenzialmente tre volte: negli anni ‘30 nel secolo scorso, nella fase precedente alla bolla delle dotcom degli anni ‘90 e negli ultimi 10 anni. Ecco perché il gap valutativo fra titoli onerosi e titoli a buon mercato è il più ampio dal 2000. Gli investitori sembrano disposti a pagare un prezzo elevato (in termini di P/E) per utili in crescita o addirittura stabili. Di norma un netto aumento della dispersione dei multipli azionari prean­nuncia una sovraperformance dei titoli con P/E modesti. Opportunità globali Intravediamo un potenziale di rialzo sui mercati azionari dei Paesi avanzati e di quelli emergenti.

Sulle piazze emergenti, puntiamo essen­zialmente su quattro tematiche di lungo periodo: • Crescita strutturale della tecnologia in tutti i segmenti dell’economia

• Aumento della spesa al consumo in linea con l’espansione del ceto medio

• Small cap dei Paesi emergenti favorite dalla crescita locale

• Società caratterizzate da progressi nella corporate governance e da un impatto ambientale contenuto o in miglioramento

In generale riteniamo i mercati emer­genti più interessanti di quelli sviluppati in ragione di un’espansione economica sempre più rapida. Per il 2020 il FMI prevede una crescita dei Paesi emer­genti pari al 4,6%, quasi il triplo rispetto al +1,7% stimato per i Paesi sviluppati.5Occorre inoltre considerare che dopo la svolta accomodante della Fed, anche i Paesi emergenti hanno adottato politiche espansive a sostegno dell’economia.

In termini di valutazioni, i mercati emer­genti scambiano con uno sconto di quello medio di lungo periodo rispetto ai mercati avanzati, nonostante l’aumento dei flussi di cassa e dei dividend payout ratio e la riduzione dell’indebitamento delle imprese. Intravediamo opportunità in Brasile, dopo l’avvio della riforma pensionistica, in India, dove gli sgravi fiscali inducono le società a investire, e nel sud est asiatico, che vede un aumento della spesa al consumo e beneficia del minore ruolo della Cina negli scambi commerciali. La Cina si conferma comunque sempre più importante per i mercati azionari globali ed emergenti. In base alle nostre stime, se tutti i titoli cinesi venissero inseriti nei principali benchmark delle aree emer­genti, il Paese potrebbe arrivare a rappresentare circa il 40% di tali indici (rispetto al 30% di fine 20196).

Inoltre secondo i dati della Banca Mondiale l’economia cinese, oltre a evidenziare una decelerazione, è in fase di trasforma­zione; infatti ora il commercio costituisce appena il 38% del PIL contro il 64% del 2005.

Riscontriamo anche una diminu­zione del rischio di deprezzamento della valuta e la possibilità di ulteriori riforme economiche. Altri elementi positivi di questo mercato sono le migliori previsioni di utili e l’au­mento delle distribuzioni di dividendi. Troviamo valore nelle società orientate al mercato interno con attività solide e meno sensibili agli alti e bassi dell’eco­nomia globale e del contesto politico. Probabilmente la Cina beneficerà altresì del progresso tecnologico e dell’avvento del 5G.

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