Usa-Cina: l’escalation delle tensioni commerciali minaccia la crescita

Di Paul O’Connor, Head del team Multi-asset di Janus Henderson Investors

I movimenti dei prezzi sui mercati finanziari registrati nel corso degli ultimi giorni confermano quanto la propensione al rischio degli investitori sia sensibile agli sviluppi sul fronte degli scambi commerciali. La decisione del presidente Trump della scorsa settimana di applicare dazi del 10% su 300 miliardi di dollari di export cinese ha sorpreso gli operatori e ha alimentato nuovamente i timori di una forte escalation del conflitto commerciale globale. Le notizie del blocco delle importazioni di prodotti agricoli statunitensi da parte della Cina e dell’indebolimento dello yuan che, per la prima volta dal 2008, ha toccato la fatidica soglia delle 7 unità per dollaro, hanno intensificato queste preoccupazioni.

L’impatto economico diretto dell’ultima tornata di dazi imposta da Trump sembra piuttosto limitato, quello indiretto sul clima imprenditoriale e sui piani di espansione economica preoccupa di più. Sebbene alcuni indicatori chiave delle ultime settimane abbiano mostrato timidi segnali di una stabilizzazione dello slancio macroeconomico globale, la fiducia delle imprese rimane fragile, in particolare nel settore manifatturiero. Il grande rischio è che un ulteriore deterioramento del sentiment legato al business possa destabilizzare gli investimenti (già deboli) oltre che i piani legati al rilancio dell’occupazione nel settore manifatturiero e ripercuotersi sul settore dei servizi e sulla spesa dei consumatori, che fino ad ora avevano dimostrato una certa resilienza. La scala di questi rischi è difficile da calibrare, tuttavia la direzione è chiara – ogni escalation delle tensioni commerciali viene giustamente interpretata come l’ennesima minaccia alla crescita globale.

Nel breve termine, ci aspettiamo che la Cina metta in campo ulteriori misure di stimolo nel tentativo di proteggere l’economia di Pechino da sviluppi negativi sul fronte commerciale. Oltre a ciò, le banche centrali delle principali economie faranno del loro meglio per allentare le tensioni economiche. Tuttavia, fino a quando non sarà ben chiaro il percorso per una significativa attenuazione del conflitto Cina-USA, questo tipo di interventi politici probabilmente compenserà solo in parte l’impatto dominante delle preoccupazioni sul sentiment economico e di mercato.

Mentre l’attenzione di breve degli investitori si concentra sul rischio di una controversia prolungata tra Cina e Stati Uniti, sta emergendo un altro timore: la preoccupazione che i conflitti commerciali stiano diventando un tema globale più ampio. Gli operatori stanno già cercando di valutare l’impatto dell’attuale disputa tra Giappone e Corea e non escludono una ripresa degli interventi Usa sui rapporti commerciali con la zona euro. Al di là di questo, il calo dello yuan ha già catturato l’attenzione di Trump e la potenzialità di una guerra valutaria rischia di dare il via a nuovi conflitti.

In questa fase avanzata dell’espansione economica, le deliberazioni convenzionali circa lo stato di salute della ripresa ciclica e i tempi di una eventuale prossima recessione rappresentano di solito questioni abbastanza difficili da risolvere per gli investitori. La sfida è ora resa ancora più complicata dall’ipotesi di sviluppi geopolitici imprevedibili e senza precedenti.

Dal momento che la maggior parte delle attività finanziarie hanno già prodotto forti rendimenti quest’anno e che la visibilità sulle prospettive macroeconomiche globali è insolitamente bassa, vediamo un forte incentivo a bloccare alcuni profitti in asset rischiosi e a ritirarsi fino a quando le prospettive di rischio/rendimento non miglioreranno o le prospettive globali diventeranno più prevedibili.

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