Usa, le Presidenziali più forti di Covid e dati macro

A cura di Wings Partners Sim

In chiusura di una settimana rocambolesca sia sul fronte geopolitico che finanziario, la domanda che tutti si pongono è se i listini azionari riusciranno a mantenere il ritmo rialzista forsennato che li ha caratterizzati per gran parte delle passate sessioni di questo inizio novembre.

Oggi avremo il nodale dato sul mercato del lavoro Usa (attesi 593mila nuovi occupati) ma non credo che in questo frangente le considerazioni di carattere macro abbiano un qualche tipo di trazione sul sentiment dei mercati, così come è successo per i deludenti dati relativi alla stima occupazionale del settore privato americano (indice Adp), per l’Ism del settore servizi Usa o per il dato nettamente inferiore alle attese arrivato dai factory orders tedeschi ieri (0,5% ad ottobre contro 2,1% atteso e 4,9% precedente).

Anche le considerazioni relative alla dinamica della pandemia sembrano momentaneamente passate in secondo piano, malgrado gli Usa abbiano superato il record dei 120.000 nuovi contagi giornalieri e si segnalino nuovi picchi in diverse regioni europee, per non parlare poi della mutazione del ceppo virale nei visoni danesi che a quanto pare (ieri l’avevo presa un po’ alla leggera) è un fattore ben più preoccupante di quanto inizialmente stimato.

L’avvio odierno, complice una chisura un po’ zoppicante nel settore asiatico, sembra promettere spazio per qualche salutare presa di beneficio; ovviamente l’esito delle elezioni americane rimane al centro dell’attenzione, con Biden che si vede sempre più prossimo allo scranno presidenziale e Trump di contro pronto a combattere fino allo stremo a suon di carte bollate (devo dire però che i video girati sul net di carrelli pieni di schede compilate consegnati nella notte nei seggi dei paesi ancora in bilico lascia adito a qualche perplessità).

Visto che non credo tutti siano ferrati nel sistema elettorale americano, un breve ripasso; attualmente Biden conduce su Trump 264 a 214 nel conteggio dei voti dei grandi elettori (ne servono almeno 270 per arrivare alla vittoria). I grandi elettori sono i voti assegnati a ciascun Stato: al momento in bilico abbiamo la Pennsylvania (20 voti elettorali), Georgia (16), North Carolina (15), Arizona (11) e Nevada (6) e tutti questi vedono un testa a testa serratissimo tra i due contendenti nell’ordine di decimali di percentuale, anche se a Biden basta veramente poco per chiudere la partita e il conteggio dei voti via posta arrivati di soppiatto nella notte si rivelerà determinante nel dirimere la questione (in Georgia per esempio solo 600 voti separano i due su circa 5 milioni di schede elettorali).

Ad ogni modo, come anzi detto, ai mercati va bene così: presidenza democratica (con meno frizioni sul fronte internazionale, e infatti i mercati emergenti stanno letteralmente volando in queste giornate) e Senato repubblicano in modo da fermare eventuali bordate fiscali alle grandi aziende.

Ieri la Fed come ampiamente anticipato è rimasta seduta sulle mani, pur prennunciando un potenziale incremento nell’acquisto di bond nella sua allocazione attuale che prevede 120 miliardi di dollari al mese in allentamento quantitativo.

Il dollaro scivola sui minimi di 30 mesi, come indice rispetto alle principali divise di riferimento, il novero dei titoli che pagano interessi negativi supera per al prima volta nella storia il più che rispettabile importo di 17 trilioni di dollari, il che di converso alimenta la corsa verso asset di diversificazione, e non solo l’oro (che comunque mette a segno la sua migliore tornata dallo scorso luglio), ma anche il mondo delle divise virtuali con la galassia delle criptovalute che registra da inizio anno un rialzo complessivo del 120% (contro il 30% dell’oro).

I metalli non ferrosi tornano a trovare nel rame la loro guida spirituale con le quotazioni del metallo rosso che svettano questa mattina sopra quota 6.900 dollari (sebbene le ultime statistiche arrivate da Cile e Perù, che insieme fanno circa l’80% della produzione mineraria mondiale, rivelino che l’impatto della pandemia abbia invero poco inficiato la produzione di questi mesi); si ritira invece lo zinco dopo aver toccato i massimi da 17 mesi alla luce dei dati che vedono la produzione cinese salire in ottobre del 3,6% a 569.200 tonnellate, un trend decisamente inaspettato alla luce del recente crollo nei premi di raffinazione che evavano indotto gli analisti ad ipotizzare diffusi tagli nella produzione del colosso asiatico. Meno mosso il resto del comparto con alluminio sempre a ridosso di quota 1.900 dollari, piombo in area 1.850 dollari e nickel a cavallo dei 15.000 dollari a tonnellata.

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