Utili, il consensus sulla crescita può rallentare ancora e pesare sulle Borse

Di Marco Bonaviri, Senior portfolio manager, Banca Reyl

Non lottare contro la Fed

Gli ultimi due mesi potrebbero entrare nella hall of fame degli episodi da ricordare per i mercati finanziari: subito dopo il peggior mese di dicembre dal 1931 si registra il miglior mese di gennaio
dal 1987. Se c’è una cosa che dimostra è che il motore principale degli attivi a rischio non sono le previsioni dei risultati, i dati macroeconomici, la politica o ancora le linee dei grafici: l’unica cosa che conta è la quantità di denaro iniettato o ritirato dal sistema dalla Federal Reserve americana (la Fed), ovvero se Jay Powell opta per un atteggiamento più aggressivo (hawkish) o più prudente (dovish).

La previsione di una pausa nel ciclo di stretta monetaria da parte della Fed e la riduzione dei timori relativi all’esaurimento della liquidità mondiale hanno rinvigorito il sentiment degli investitori e alimentato la più importante ripresa delle borse degli ultimi 40 anni. Il rovescio della medaglia è che questa inversione di marcia della politica monetaria è ormai inglobata e gli investitori potrebbero concentrarsi nuovamente sui fondamentali economici e le prospettive societarie. Ecco la nota dolente: osserviamo una divergenza sorprendente tra il consensus sulla crescita degli utili delle società e il peggioramento delle prospettive economiche per il 2019 e 2020.

Di norma, l’andamento in borsa è influenzato in modo significativo dalla dinamica delle revisioni degli utili. Quando gli analisti del mercato azionario rivedono al rialzo le aspettative di crescita, la fiducia e la propensione al rischio degli investitori si rafforzano, facendo salire gli indici di borsa. Tuttavia, a volte i mercati finanziari non sono connessi allo slancio degli utili per azione (EPS) e si concentrano su altri fattori. Secondo la nostra analisi, è proprio quello che è successo dall’inizio del rimbalzo cominciato la vigilia di Natale: le previsioni di crescita degli EPS sono state nettamente riviste al ribasso su tutti i mercati, mentre l’indice S&P 500 ha guadagnato oltre il 17% (figura 1). Sorprendentemente, al momento tale dicotomia non attira l’attenzione degli investitori, ossessionati dalla Fed e dall’aumento lineare degli indici.

Gli analisti azionari sono troppo ottimisti

Per gli Stati Uniti, il consensus degli analisti punta su un indebolimento della crescita del fatturato, che passerebbe dal 6,9% nel 2018 al 3,4% nel 20191, per poi accelerare nuovamente al 4,5% nel 2020. Per quanto riguarda gli EPS, dopo un calo stimato della crescita dal 18,6% nel 2018 al 4,8% nel 2019, la crescita dovrebbe più che raddoppiare e attestarsi al 9,8% nel 2020. Un dato ancora più significativo: solamente 3 settori su 23 dovrebbero registrare una crescita negativa nel 2019 e il margine netto dovrebbe aumentare (12,5% nel 2018, 13% nel 2019 e 13,4% nel 2020). A prescindere dall’arido dibattito sull’inizio della prossima recessione, gli economisti  si aspettano invece ad un indebolimento della crescita economica (2,9% nel 2018, 2,5% nel 2019 e 1,9% nel 2020; consensus Bloomberg). Inoltre, il rallentamento osservato recentemente in alcuni settori ciclici dell’economia, come quello immobiliare e manifatturiero, ha aumentato in modo significativo la probabilità di una recessione il prossimo anno.

Che ne sarà dell’eurozona ? La divergenza fra le previsioni economiche e le prospettive delle società evidenzia ulteriormente un importante divario intellettuale. Nonostante il continuo deterioramento dell’economia dell’eurozona dal primo trimestre 2018 e le previsioni di un rallentamento della crescita del PIL quest’anno (1,9% nel 2018 e 1,4% nel 2019), gli analisti finanziari ipotizzano una modesta accelerazione della crescita delle vendite (3,1% nel 2018 e 3,8% nel 2019 ) nonché un’accelerazione netta della crescita degli EPS (3,1% nel 2018 e 7,5% nel 2019). L’entità di questo ottimismo è molto rappresentativa: solamente un settore sui 23 considerati dovrebbe segnare un calo nel 2019 e il margine netto dovrebbe addirittura migliorare leggermente, passando dal 7,2% al 7,6%.

La tendenza al ribasso della revisione potrebbe accelerare

Dato il legame tra la crescita economica e l’incremento dei risultati, il calo delle previsioni macroeconomiche ha spinto da qualche mese gli esperti del mercato azionario a ridurre drasticamente gli obiettivi EPS per il 2019. Dall’inizio dell’anno, nel giro di qualche settimana, il consensus è passato dal 7,7% al 5% relativamente alle previsioni di crescita degli EPS. Ora, il consensus si aspetta addirittura una crescita negativa del -1,7% su base annua nel primo trimestre 2019, ovvero il primo trimestre in calo dal secondo trimestre 2016. Tuttavia riteniamo che il consensus di crescita dei risultati sia ancora troppo ottimista e scollegato dal contesto macroeconomico. Come giustificare un aumento del fatturato e degli utili in un ciclo economico che sta perdendo slancio? Come spiegare una crescita dei margini quando i costi di finanziamento e i costi salariali sono in aumento?

Vi sono altre argomentazioni, più tecniche, a favore di ulteriori revisioni al ribasso degli EPS. Per primo, osserviamo un modello stagionale per quanto riguarda le revisioni: in generale, gli analisti aspettano i risultati finali dell’esercizio precedente, nonché quelli del primo trimestre dell’anno in corso, per rivedere in modo significativo il loro prezzo di riferimento. Generalmente, le aspettative di crescita sono elevate a inizio anno e cominciano a essere riviste drasticamente al ribasso nel corso del secondo trimestre. In secondo luogo, le ricerche di Société Générale mostrano che verso la fine del ciclo gli esperti finanziari riducono inizialmente il valore teorico dei titoli aumentando il costo medio del capitale (WACC: weighted average cost of capital) e in seguito abbassano ulteriormente le loro stime per riflettere il deterioramento delle prospettive di crescita. O almeno questo è quello che è successo nel 2001 e nel 2008. E va notato che effettivamente nel 2018 gli analisti hanno aumentato il costo medio ponderato del capitale (WACC).

I contrasti macro sono numerosi

Chi ha ragione? Gli economisti o gli analisti del mercato azionario? Le ragioni del pessimismo degli esperti economici sono molteplici e, sebbene questi ultimi non detengano il record delle previsioni più precise, le nostre osservazioni ci fanno propendere dalla loro parte. I fattori macroeconomici interni in grado di influire sulla crescita dei risultati societari americani sono numerosi: la forza del dollaro, la perdita di fiducia dovuta alle incertezze sulla guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina, le conseguenze negative della paralisi del governo americano (shutdown) e la riduzione della massa monetaria. Le previsioni delle società riflettono sin da ora un rallentamento della crescita degli utili (o addirittura una diminuzione), nonché un calo dei margini. Il contesto internazionale è altrettanto preoccupante: rapido deterioramento del commercio mondiale, rallentamento della crescita cinese e rischio di una recessione nell’eurozona. L’impatto negativo del deterioramento del contesto economico globale è visibile nei risultati del quarto trimestre 2018: le società americane con la più alta esposizione internazionale soffrono di più rispetto a quelle meno esposte (EPS: 8,4% contro 16,6%; vendite: 6,7% contro 7,2%).

Per concludere

Dato il contesto economico e i fattori tecnici citati, e constatata la gravità e l’entità delle revisioni al ribasso degli ultimi mesi, non ci sorprenderebbe vedere la crescita degli utili rimanere in territorio negativo nel secondo e terzo trimestre, il che implicherebbe una possibile recessione dei risultati societari (due trimestri consecutivi di crescita negativa degli EPS su base annua). In ogni caso, l’inflessione e l’accelerazione della crescita degli utili al 9% prevista nel quarto trimestre ci sembra a dir improbabile. Senza un ulteriore sostegno da parte delle banche centrali, gli investitori potrebbero rimanere delusi dalla perdita di ottimismo del consensus e quindi adottare nuovamente un atteggiamento di avversione al rischio. A meno che, mentre la storia di una crescita sincronizzata si trasforma in rallentamento mondiale, anche dopo 10 anni di sostegno smisurato, le banche centrali non vadano nuovamente in soccorso degli investitori.

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