Utili societari sopra le attese e banche centrali bloccate

A cura di Pictet Am
I rally sono alimentati dagli utili piuttosto che dagli istinti umani.  Per la prima volta dal 2010 gli utili societari hanno superato le attese: le aziende che compongono l’MSCI ACWI hanno registrato un aumento annuo degli utili del 15% a fronte di previsioni del 13%. Il rialzo del 25% fatto segnare dall’indice nel 2017 è ascrivibile per oltre il 60% alla crescita degli utili, un contributo doppio rispetto a quello offerto dall’ampliamento del rapporto prezzo/utile delle azioni.
Vendere troppo presto può costare caro.  Tra gli altri, anche Warren Buffett sostiene che le azioni tendono ad andare meglio nelle ultime fasi di un rialzo del mercato. Tale tesi è confermata da quanto avvenuto nel 2017. Per la prima volta nella storia l’azionario globale ha fatto segnare guadagni per 12 mesi consecutivi mentre la volatilità realizzata dell’indice S&P 500 ha toccato il minimo record del 3,5%. Inoltre, la flessione più marcata dell’S&P 500 è stata pari al 2,8%, una correzione molto meno profonda rispetto alla media dei precedenti mercati rialzisti (5-7%).
Selezione vantaggiosa per gli investitori attivi.  Di norma, dalla crisi finanziaria del 2008 i rialzi e i ribassi di mercati azionari regionali e singoli titoli sono stati sincronizzati. Nel 2017 tuttavia tale trend è giunto al termine. Prendiamo ad esempio l’S&P 500. In questo caso la correlazione tra rendimenti delle singole azioni e rendimenti dell’indice è scesa al minimo record dello 0,27 in dicembre. Pattern analoghi sono stati registrati anche per altri indici Paese, settori e valute. In tale contesto le strategie basate su stock picking e asset allocation tattica hanno adeguatamente ricompensato gli investitori più accorti.
Senza inflazione non ci sarà alcun sell-off obbligazionario.  Una forte crescita economica e tassi di interesse più alti negli USA sono un prerequisito per un aumento dei rendimenti obbligazionari ma ovviamente non bastano: l’indice JPMorgan dei titoli di Stato ha chiuso il 2017 con un rendimento dell’1,4%, quasi lo stesso di inizio anno. L’anello mancante è l’inflazione che nel 2017 è rimasta molto più contenuta del previsto non solo negli USA ma anche in Giappone e nell’Eurozona. Senza un aumento di prezzi e retribuzioni i rendimenti dei bond si manterranno stabili, non da ultimo perché normative più severe in ambito pensionistico e il costante invecchiamento della base di investitori hanno provocato un incremento della domanda di strumenti a reddito fisso.
Le azioni fanno faville ma i bond sono più popolari.  Nonostante nel 2017 i rendimenti azionari abbiano superato quelli obbligazionari di circa 20 punti percentuali, i titoli a reddito fisso sono stati l’investimento più gettonato dell’anno. Secondo i dati di EPFR, nel 2017 i flussi di capitali verso i fondi obbligazionari sono stati pari a USD350 miliardi a fronte di USD300 miliardi investiti in azioni.
A volte il consensus si sbaglia di grosso.  A inizio 2017 numerosi investitori ed economisti credevano che l’USD avrebbe proseguito il suo già consistente rialzo. Erano convinti, non irrazionalmente, che la solida crescita economica statunitense, l’orientamento protezionistico del Presidente Trump e l’inasprimento dei tassi USA avrebbero spinto al rialzo il biglietto verde. Tuttavia, non hanno tenuto conto della generale robustezza dell’economia nel resto del mondo. La ripresa nelle aree emergenti e in Europa è stata fondamentale per la flessione di un dollaro sopravvalutato che ha fatto segnare il ribasso annuo ponderato per l’interscambio più consistente dal 2007 (-7% circa).
Le valutazioni non contano nel breve periodo.  Anche se azioni e obbligazioni si confermano onerose in base a numerosi parametri – la capitalizzazione di mercato delle azioni USA , per esempio, è ai livelli più alti di sempre rispetto al PIL nazionale – raramente le valutazioni elevate ostacolano ulteriori rialzi nel breve periodo. Gli investimenti basati sulla mean reversion (ritorno al valore medio) si dimostrano efficaci solo nel lungo periodo.
Ciò che conta è l’operato delle banche centrali, non le dichiarazioni.  Nel 2017 le principali banche centrali hanno ribadito più volte che l’era delle politiche monetarie estremamente espansive stava per giungere al termine. Le loro dichiarazioni, tuttavia, sono contraddette dai fatti. Quest’anno il volume delle iniezioni nette di liquidità1 da parte delle autorità monetarie ha toccato USD 2.500 miliardi, il doppio rispetto al 2016. Inoltre, i tassi reali sono rimasti nel complesso invariati. La stessa Fed ha affermato che negli USA al momento le condizioni finanziarie sono le più accomodanti dal 1993.
È difficile valutare i rischi politici.  Nel 2017 numerose questioni politiche hanno alimentato i timori degli investitori; tra le altre le minacce di guerra della Corea del Nord, l’imprevedibilità di Trump e la Brexit. Le performance dei principali indici azionari e obbligazionari suggeriscono che tali timori sono passati in secondo piano. A un’analisi più attenta, tuttavia, il quadro appare più sfumato. L’instabilità politica ha avuto un ruolo nella svalutazione della lira turca, nel crollo delle azioni del Qatar e nella deludente performance dell’indice azionario spagnolo IBEX.

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