Vince il no, che ne pensano i mercati?

a cura di Luca Tobagi, CFA ed Investment  Director Invesco Italia

Gli ultimi due mesi del 2016 sono stati caratterizzati da un aumento dei rendimenti di mercato sui titoli governativi. In molti Paesi d’Europa, a cominciare dalla Germania, i tassi sono saliti notevolmente nel mese di ottobre. Il trend è proseguito in novembre, su entrambe le sponde dell’Atlantico, soprattutto dopo l’elezione di Donald Trump. Alla vigilia del referendum italiano, lo spread BTP-Bund si è riavvicinato al 2 % (ved. Graf. 1 – fonte FED St. Louis, al 28.11.2016). La media dal 1958 a oggi è stata del 2,58 % Nella storia repubblicana, l’Italia ha cambiato all’incirca un governo all’anno e tre dei quattro più longevi sono stati in carica dopo il 2000. La percezione generale prima del referendum era che l’instabilità politica sarebbe potuta aumentare con una vittoria del “no”, ritenuto dai sondaggi l’esito più probabile del referendum. Il significativo riavvicinamento fra livello corrente dello spread (1,91 %) e la media storica sembra indicare che i mercati obbligazionari potrebbero avere in buona parte prezzato il rischio di un ritorno al passato”.

Anche il mercato azionario italiano, maglia nera d’Europa con un -25 % circa da inizio anno, ha perso il 5,5% circa da fine ottobre, mentre l’indice Stoxx 600 Europe è rimasto invariato e l’Euro Stoxx ha perso meno del 2 % (ved. Graf. 2 – fonte Bloomberg 28.11.16). È probabile che la percezione di un maggiore rischio politico possa averne influenzato l’andamento. Anche nel mercato azionario, quindi, buona parte del movimento associato a una mancata approvazione della riforma costituzionale potrebbe essere già stata scontata.

Preoccupazione per il futuro delle banche italiane

Il tema delle banche si intreccia in modo stretto con la percezione del rischio politico italiano, cosa per noi non sempre corretta. Il Financial Times aveva addirittura paventato il fallimento di otto banche italiane con la vittoria del “no”.

Le banche rappresentano il 15 % circa della capitalizzazione dell’indice FTSE MIB e hanno perso quasi il 20 % da fine ottobre, dando un notevole contributo alla discesa del nostro mercato azionario. Alcune banche hanno problemi noti che riguardano la profittabilità attuale e prospettica, ovvero la capacità di generare redditi, la solidità del bilancio gravato da sofferenze, la possibile necessità, in alcuni casi, di una ricapitalizzazione. Inoltre, le banche italiane hanno un’esposizione considerevole al debito pubblico nazionale.

L’ipotesi implicita è che un esito del referendum sfavorevole a Renzi avrebbe creato instabilità politica, magari addirittura spingendo il primo ministro alle dimissioni, cosa che avrebbe danneggiato le banche in due modi: attraverso l’aumento degli spread sui titoli di Stato e attraverso l’apertura a un governo tecnico più orientato ad accontentare l’Europa che a tutelare un supposto interesse nazionale, e quindi severo nell’applicazione delle norme sulla risoluzione bancaria. Un governo politico stabile potrebbe invece gestire la situazione in modo più malleabile. Inoltre, molti considerano superiore il rischio di una mancata esecuzione di progetti di ricapitalizzazione in  caso di instabilità politica o di un eventuale governo tecnico. La nostra opinione è che se l’evoluzione dello scenario per le banche italiane, in particolare quelle in condizioni più delicate, prendesse una china critica, difficilmente un governo politico potrebbe modificare la situazione o evitare l’applicazione delle normative europee con i suoi interventi.

È invece possibile che il comparto bancario abbia prezzato buona parte degli scenari più sfavorevoli e che quindi possiamo vedere una parziale inversione di tendenza dopo la vittoria del “no”, soprattutto in caso dovesse diventare evidente che uno scenario pessimistico di fallimenti multipli non sia realistico.

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