Volatilità di mercato: il mondo alla rovescia?

A cura di Toby Nangle, Co-responsabile asset allocation globale e Responsabile multi-asset, EMEA di Columbia Threadneedle Investments
L’ottima performance del mercato nel 2017 è ascrivibile in gran parte alle previsioni di un netto miglioramento del quadro economico e degli utili, che sono state incorporate nelle quotazioni. Il brusco ribasso della scorsa settimana non rispecchia, a nostro avviso, un marcato deterioramento di queste prospettive. Per capire la natura della debolezza evidenziata dal mercato azionario la settimana scorsa bisogna esaminare in profondità alcuni aspetti arcani dell’ossatura dei mercati finanziari, compiendo un’operazione poco utile per i non addetti ai lavori.
Indice VIX è il nome comunemente attribuito a quello che gli operatori di Wall Street chiamano anche “l’indice della paura”. Entrando nei dettagli, il VIX rappresenta la volatilità implicita a 30 giorni che si evince dalle quotazioni di una serie di opzioni negoziate in borsa sull’S&P 500. Se la propensione ad acquistare opzioni è maggiore della propensione a vendere, a parità di altre condizioni la volatilità implicita aumenta.
Di solito vi è una significativa propensione a vendere opzioni da parte delle banche d’investimento, che hanno team dedicati alla gestione dei rischi associati alle posizioni short su opzioni. Questi rischi comprendono la gestione dell’esposizione complessiva ai movimenti di mercato (tramite il cosiddetto “delta hedging”) ma anche ad altre “greche”, tra cui le più importanti sono gamma e vega.
Negli ultimi anni le banche d’investimento hanno visto diminuire i capitali associati alle loro attività di market maker. Si potrebbe pensare che questo avrebbe comportato un aumento del prezzo della volatilità implicita (o “vega”).
Ma in concomitanza con questo sviluppo si è registrata una rapida crescita delle exchange-traded note (ETN), la cui struttura implica una posizione short vega: questi strumenti comportano una vendita permanente di volatilità implicita, e dunque contribuiscono a ridurne il livello. La crescita di questi fondi riveste una certa importanza, ma è solo uno di una serie di sviluppi nell’architettura del sistema finanziario che hanno concorso ad attenuare la volatilità implicita.
Sappiamo che una serie di grosse operazioni su opzioni all’inizio di quest’anno ha spinto molti operatori, in un’ottica di copertura, ad andare corti su gamma e vega più di quanto non volessero (e di quanto il loro capitale di rischio non consentisse). Con la volatilità implicita prossima ai minimi degli ultimi decenni, gli short-seller naturali di volatilità non avevano particolare interesse a incrementare le loro posizioni (e dunque ad assecondare questa domanda di copertura). Si è prodotto così un aumento della volatilità implicita, al punto tale che gli ETN short vega come il VIX Fund hanno subito perdite catastrofiche e sono stati liquidati all’inizio di questa settimana, contribuendo a spingere ulteriormente al rialzo il VIX in seguito all’uscita dal mercato di un venditore naturale di volatilità implicita.
Come influiscono sui prezzi degli attivi le variazioni della volatilità implicita dei mercati delle opzioni? In diversi modi. Innanzitutto, i corsi azionari incorporano sempre nei loro premi al rischio il livello implicito di volatilità. Pertanto, è presente tendenzialmente un chiaro legame diretto a breve termine tra il VIX e le quotazioni delle azioni. Ma vi sono anche collegamenti più sistematici che si sono rafforzati negli ultimi anni. La crescita delle masse in gestione delle strategie di risk parity e di targeting sistematico della volatilità (che usano la volatilità implicita quale determinante dell’asset allocation) potrebbe rafforzare il collegamento immediato tra gli shock al VIX e le variazioni dei prezzi degli attivi: all’aumentare del VIX queste strategie devono operare un ribilanciamento. Questo ha l’effetto di tradurre un aumento della volatilità implicita in un aumento della volatilità realizzata: è la coda che dimena il cane. Nel medio periodo l’aumento della volatilità realizzata è un input per tutti i modelli di gestione del rischio sui mercati finanziari; pertanto si può ipotizzare che a un dato livello atteso di propensione al rischio sia associata una minore esposizione lorda agli attivi azionari.
Quali sono i rischi che ci attendono? L’aver capito che l’attuale flessione è stata esacerbata dalle vendite forzate non ci dice nulla riguardo alla sua entità o alla sua durata: i titoli che si sono indeboliti potrebbero indebolirsi ulteriormente prima che il mercato ritorni in equilibrio. I prezzi degli attivi sono aumentati notevolmente negli ultimi anni, e gli investitori a lungo termine hanno accumulato ingenti guadagni. Inoltre, alcuni dei fattori che hanno sostenuto i mercati negli ultimi anni cominciano a venire meno: la prospettiva di un aumento più rapido dei tassi in diversi paesi sviluppati e la chiusura glaciale del QE negli Stati Uniti, come pure i segnali di crescita dei salari che sono emersi quasi ovunque. Dato l’elevato onere debitorio delle aziende, gli shock inattesi agli utili societari avranno ricadute più ampie sui mercati finanziari. Le valutazioni, sebbene più basse di una settimana fa, non sono convenienti. Tutto questo smorza il nostro desiderio di incrementare le allocazioni azionarie molto oltre l’entità che avevano quando i mercati azionari hanno raggiunto l’ultima volta gli attuali livelli.
Come ci siamo mossi a livello di portafoglio? Non c’è nulla nell’andamento del mercato azionario finora che ci induca a temere che la solida espansione economica globale o la crescita sostenuta degli utili per azione da noi previste vengano messe a repentaglio. In realtà, questi movimenti del mercato sembrano un evento collegato più alle valutazioni che ai fondamentali. Le valutazioni nei mercati azionari e obbligazionari non partivano da livelli particolarmente convenienti, ma abbiamo individuato ampie sacche di valore interessanti. Sapere che i ribassi del mercato azionario possono accentuarsi per le ragioni legate all’ossatura del sistema finanziario sopra descritte ci spinge a evitare di incrociare i grandi fondi sistematici che potrebbero essere costretti a una liquidazione. Tuttavia, stiamo approfittando dell’opportunità di aumentare l’esposizione ai mercati che privilegiamo, cogliendo il valore perso dagli operatori costretti a vendere loro malgrado.

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