Warren Buffett e Berkshire Hathaway

A cura di Eric Lonergan, Team multi asset di M&G Investments
Tony Finding ed io abbiamo partecipato per la sesta volta consecutiva all’assemblea annuale degli azionisti di Berkshire Hathaway. Continuiamo a rimpiangere di non aver iniziato a farlo prima.
Al di là del suo track record di investimento, quello che colpisce di Warren Buffett è la sua originalità come investitore. Si esprime in maniera chiara e articolata, ed ha puntualmente ragione su tematiche importanti, eppure il suo stile non è copiato in maniera così diffusa.

  • Per quello che concerne riacquisti e dividendi, sottolinea correttamente l’inefficienza dei dividendi e che è piuttosto semplice stabilire quando avviare un riacquisto: basta aspettare che il titolo sia poco caro (o, in parole sue, “che scambi a sconto rispetto al suo valore intrinseco”). Perché tutte le imprese non stimano il valore equo dei propri titoli e avviano il riacquisto solo quando il titolo scambia a uno sconto significativo?
  • A proposito dei salari dei dirigenti, egli afferma apertamente che questi ultimi dovrebbero detenere azioni e non opzioni della compagnia, per allineare i loro interessi con quelli degli azionisti. E condividerne le perdite. Anche su questo ha ragione.
  • Riguardo alla sottoscrizione di polizze assicurative, Buffett evidenzia che i profitti volatili sono più allettanti di quelli lineari. Perché? Perché si dovrebbero sottoscrivere più polizze quando i premi sono alti, e non quando sono bassi. Quale altra grossa compagnia assicurativa si vanta della volatilità dei suoi utili?

La chiarezza è un altro elemento chiave del talento di Buffett come investitore. Le vere perle all’assemblea degli azionisti sono spesso brevi commenti di analisi di settore o dei titoli. Dopo aver ascoltato la sua analisi di Wells Fargo, IBM, l’industria dei materiali di costruzione o Coca-Cola, le ragioni della redditività di queste imprese sembrano ovvie, e anche il perché delle loro caratteristiche monopolistiche, o wide moat (letteralmente “ampi fossati”, ovvero barriere strutturali che proteggono le società dalla concorrenza), per dirla con Buffett. Sembra ovvio, dopo aver ascoltato la spiegazione di Buffett. Come forse tutti i grandi investitori, egli vede cose che gli altri investitori non vedono. Cose non difficili da comprendere, ma difficili da percepire.
Il grande economista del MIT, Paul Samuelson, che ha prestato grande attenzione a Buffett (e coperto le sue scommesse teoretiche acquistando il titolo Berkshire), era solito sostenere di aver appreso da Schumpeter che la “distruzione creativa” farebbe sì che ogni dieci anni circa ci sarebbero capitalisti diversi a festeggiare i propri successi agli ultimi piani dei migliori hotel. A garantirlo sarebbero la competitività e l’innovazione tecnologica. Questa potrebbe essere una descrizione plausibile di come funzioni buona parte dell’economia, ma Buffett sembra aver provato il contrario: esistono imprese con robusti poteri di monopolio intrinsechi ai marchi, agli effetti di network, alle economie di scala e a processi decisionali superiori che possono resistere per molti decenni.
Ci sono molte altre ragioni per recarsi a Omaha. Tony e io parliamo senza tregua per diversi giorni del panorama degli investimenti, lontani dai computer e dal rumore di tutti i giorni. Omaha non sarebbe altrimenti una meta da visitare. Ma la cultura del Midwest aiuta a comprendere degli aspetti dell’America che non si vedono ordinariamente. L’assemblea degli azionisti è un fenomeno culturale tutto americano. Solo in America vedrete 30.000 persone applaudire affermazioni quali “la ricchezza dovrebbe essere guadagnata in modo equo e usata in modo saggio”.
Buffett e Munger sono spesso descritti come fautori della “saggezza popolare”. Questo è però un eufemismo fuorviante. Formulano considerazioni più vicine a valori duraturi e fondamentali: “Le catene dell’abitudine sono troppo leggere per essere percepite, fino a quando non diventano troppo pesanti per essere spezzate.” Valori che nonostante il loro carattere universale sono raramente formulati altrove nella nostra cultura. Non sorprende dunque che gli investitori viaggino da tutte le parti del mondo per vederli.
Partecipare all’assemblea degli azionisti di Berkshire Hathaway significa molte cose. Non c’è nulla di più stimolante che vedere un CEO di 84 anni rispondere a domande improvvisate per oltre cinque ore, mostrando un’incredibile capacità di memoria fattuale su una vasta gamma di imprese, e coprendo un periodo di storia che risale fino alla Depressione. Ci ricorda perché l’S&P 500 scambia a premio: la cultura del capitalismo americana è unica. E si riparte pensando che quasi tutto può essere fatto in modo migliore. Quest’anno, Buffett e Munger hanno descritto succintamente la loro cultura societaria, dicendo che le persone in Berkshire Hathaway “vedono le cose come stanno realmente”.

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